Domenico Mugnaini, il giornalismo come atto di cura
Domenico Mugnaini, per tutti “Dodo”, ha attraversato il giornalismo ecclesiale con uno stile discreto e leale, accompagnando “Toscana Oggi” fino all’ultimo con senso di responsabilità e cura. Amico sincero del Sir, ha servito la Chiesa italiana con competenza e umanità, custodendo la famiglia e il lavoro con la stessa dedizione
Alcune amicizie maturano nel tempo con naturalezza, come se certe esperienze condivise permettessero di riconoscersi al primo sguardo. Con Domenico Mugnaini accadeva così: nei nostri dialoghi emergeva, senza mai nominarla, una consapevolezza delle fatiche che la vita può imporre, una confidenza asciutta e mai indulgente, priva di qualsiasi ombra di autocommiserazione. Per molti colleghi era semplicemente “Dodo”, un soprannome affettuoso che dice la misura della vicinanza e dello stile con cui sapeva stare accanto agli altri. Era un uomo capace di guardare avanti anche quando il futuro si assottigliava, sostenuto da una fede che dava solidità alla sua voce, persino nei giorni più stanchi.
Negli ultimi mesi la malattia lo aveva costretto in spazi sempre più stretti, ma non aveva toccato la sua lucidità né la cura per il suo lavoro. “Toscana Oggi” è il settimanale dei vescovi toscani, certo, ma per lui era qualcosa di più: una casa, una responsabilità, un’eredità da custodire. Ha accompagnato il giornale fino all’ultimo, preparando la transizione con una precisione che rivela uno stile: discreto, leale, profondamente radicato nella convinzione che il giornalismo sia, prima di tutto, un servizio. Voleva che la redazione non si trovasse smarrita, che il ritmo non venisse meno, che ciò che aveva servito per anni continuasse a camminare senza inciampi.
Con il Sir aveva un legame sincero, fatto di stima reciproca e di amicizia vera. Seguiva il nostro lavoro, incoraggiava, si rendeva presente. Era uno di quei colleghi che non restano ai margini: si sentiva parte di una stessa missione. Nella sua seconda fase professionale ha accompagnato la Chiesa italiana con competenza, equilibrio e un’umanità che non si improvvisa.
Nelle nostre conversazioni, anche nei periodi più complessi, emergeva una delicatezza che restava intatta: aveva un modo tutto suo di attraversare ciò che gli accadeva senza farlo pesare, trasformando ogni difficoltà in uno spazio di ascolto per gli altri. Parlava poco delle proprie fatiche, molto della sua famiglia: di Barbara, di Andrea e di Giovanni, del loro domani. Era quello il pensiero che custodiva con maggiore cura.
Oggi, mentre la sua voce si fa memoria, resta ciò che più lo descrive: un uomo perbene, capace di custodire ciò che conta senza mai perdere la gentilezza. Un amico vero. Un direttore che ha vissuto il suo lavoro come atto di cura. Un servitore della Chiesa che ha lasciato tracce destinate a continuare il cammino.
Alla famiglia di Domenico, alla moglie e ai figli, le più sincere condoglianze, ma soprattutto l’affetto e la vicinanza di tutta la redazione del Sir.