IdeeSono quelle della bandiera dell’Ue e quelle che i migranti vorrebbero vedere arrivati in Europa. Ma qui vengono trattenuti in strutture in condizioni critiche
C’è quello di Islahiye, di Nizip, Elbeyli e Kilis. E tanti altri. Sono campi di confinamento. Si rabbrividisce sapendo la loro finalità: rinchiudere per un tempo non definito i migranti in transito nella cosiddetta rotta balcanica, un percorso migratorio tristemente conosciuto a partire dal 2015 con l’esodo di migliaia di fuggitivi che scappavano soprattutto dalla guerra siriana. Si parla anche di paesi di confinamento. A descrivere questo fenomeno è il libro Chiusi dentro. I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo, presentato a Padova lo scorso 7 maggio. Lo scritto è curato dalla rete RiVolti ai Balcani (composta da più di 30 realtà italiane impegnate nell’accoglienza e nella difesa dei diritti dei migranti) ed edito da Altreconomia. È stato pubblicato nel 2024 e da questo lavoro è nato il progetto digitale “Chiusi dentro. Dall’alto” che, attraverso le immagini eseguite da PlaceMarks (un’applicazione che realizza analisi satellitari per inchieste e altro), fa comprendere meglio di che cosa si tratta. Gianfranco Schiavone è presidente del Consorzio italiano di solidarietà, un’associazione coinvolta nella protezione dei rifugiati, che fa parte della rete RiVolti ai Balcani: «Lungo la rotta balcanica avvengono violenze e respingimenti illegali da parte di Stati dove queste persone arrivano». I campi di confinamento mappati sono decine, presenti nei cosiddetti Paesi terzi, esterni all’Unione Europea, così come in Stati membri. Sono luoghi di transito che però sono diventati punti di blocco «di para-detenzione», per i respingimenti continui che questi migranti subiscono. Può avvenire «l’esternalizzazione delle frontiere, dove l’Ue sostiene degli Stati affinché blocchino le persone, le trattengano sul loro territorio creando una situazione ancora più iniqua». Si parla di Cipro, Grecia, Bulgaria, Polonia, ma anche Francia con Calais e la Spagna con Las Raices o Fuerteventura. Tra i Paesi di confinamento il caso più eclatante è avvenuto nel 2016 con l’Ue che ha pagato 6 miliardi di euro alla Turchia affinché trattenesse milioni di migranti provenienti dalla Siria e da altri Paesi. «Questi migranti erano in cerca di protezione ma non l’hanno trovata – aggiunge Schiavone – arrivando a vivere condizioni inaccettabili. Il quadro presenta profili etici inquietanti, oltre a questioni giuridiche rilevanti». La ricerca mette in luce che questi rifugiati «non godono di una protezione giuridica adeguata. La Convenzione di Ginevra, il principale trattato internazionale per la protezione dei rifugiati adottata nel 1951, nei campi e nei Paesi di confinamento non viene attuata, precludendo loro un percorso di inserimento sociale». Questo modello di confinamento è proprio del decennio 2015- 2025, «siamo di fronte a un’umanità scartata tristemente confinata, di cui non si parla. Sono forme concentrazionari» ammette rammaricato Gianfranco Schiavone. I numeri lasciano senza fiato: tra le 8 e le 10 milioni di persone coinvolte. E in Italia? Ci sono i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), strutture dove vengono trattenuti gli stranieri irregolari – cioè persone che non hanno il diritto di restare in Italia – in attesa di essere rimpatriati nei loro Paesi d’origine. Un sistema a cui poi si sono affiancati gli hotspot, realtà situate nei punti di sbarco dei migranti dove vengono identificati e registrati. Erano quattro nel 2017, oggi sono più del doppio.
Che aspetto hanno i campi di confinamento costruiti o finanziati dai Paesi dell’Unione Europea? Il progetto digitale “Chiusi dentro. Dall’alto” è un’indagine composta da oltre cento immagini e report. È su: www.altreconomia. it/chiusi-dentro-altoprogetto
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) rivela che la maggior parte delle persone che perde la vita lungo le rotte migratorie non parte per scelta, ma per disperazione, in fuga da contesti di estrema insicurezza, conflitti, e crisi umanitarie. Dal 2014, oltre 52 mila persone sono, quasi tre quarti di tutti i decessi di migranti registrati a livello globale nello stesso periodo.
