IdeeNel Regno Unito, applicando metodiche di fecondazione artificiale, sono nati otto bambini grazie a una tecnica innovativa che combina il materiale genetico di tre persone. Non si tratta di fantascienza, ma di un metodo sviluppato per prevenire malattie mitocondriali ereditarie, disturbi gravi che colpiscono organi e tessuti ad alto consumo di energia, come cervello, cuore e muscoli. Queste patologie, trasmesse esclusivamente dalla madre, spesso provocano gravi disabilità o morte precoce. A darne notizia, riassumendone i particolari, un recente articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Per rispondere a questo problema, alcuni centri specializzati hanno applicato una procedura chiamata “donazione mitocondriale”, o “trasferimento pronucleare”. Il processo avviene in più fasi: vengono fecondati due ovociti, uno della madre biologica portatrice di mitocondri difettosi e uno proveniente da una donatrice con mitocondri sani. Dopo la fecondazione, i nuclei contenenti il Dna della madre e del padre vengono trasferiti nell’ovocita donato, svuotato del suo Dna nucleare ma integro nei mitocondri. Si ottiene così un embrione con il patrimonio genetico nucleare dei due genitori e una piccolissima parte di Dna mitocondriale sano della donatrice.
Il contributo genetico della terza persona è minimo, meno dello 0,1% del totale, ma sufficiente a evitare il passaggio delle mutazioni responsabili della malattia. L’embrione così ottenuto viene poi impiantato nell’utero della madre biologica, dando inizio a una gravidanza del tutto analoga a quella naturale. Finora, nel Regno Unito, 22 donne hanno intrapreso questo percorso e 8 gravidanze sono andate a buon fine, portando alla nascita di bambini sani, compresa una coppia di gemelli identici. Alcuni neonati mostrano una lieve presenza residua di mitocondri mutati, ma sempre sotto la soglia considerata pericolosa. Il monitoraggio medico finora ha confermato uno sviluppo regolare, senza segni di patologie mitocondriali.
Il Regno Unito, attraverso la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea), è stato il primo Paese a regolamentare questa procedura già nel 2015. Anche l’Australia ha autorizzato progetti simili, mentre in molti Paesi europei, Italia compresa, la legge non lo permette ancora.
Sul piano etico, poi, sono tante le questioni legate ad una metodica così complessa. Pur trattandosi di una modifica minima del Dna, essa riguarda comunque la linea germinale degli embrioni e, potenzialmente, viene trasmessa alle generazioni successive, aprendo la strada a un dibattito su quanto sia lecito intervenire su un patrimonio genetico ereditabile. Ci si chiede inoltre se la presenza di un terzo contributo genetico, seppur ridotto al solo Dna mitocondriale, possa in futuro avere implicazioni sull’identità percepita della persona o altre conseguenze ancora sconosciute. Non mancano infine le riflessioni sui possibili rischi a lungo termine, perché gli effetti di questa tecnica dovranno essere valutati nel corso degli anni, insieme al rischio che in futuro la sua applicazione possa estendersi a scopi non strettamente terapeutici, aprendo scenari del tutto imprevedibili ed inquietanti.
Tutto ciò, ovviamente, in aggiunta agli interrogativi etici che accompagnano le tecniche di fecondazione artificiale in generale (generazione della vita umana al di fuori della relazione sessuale interpersonale; selezione e crioconservazione degli embrioni; destino embrioni “residui”; implicazioni psicologiche e giuridiche per i bambini che nasceranno, specialmente rispetto al diritto di conoscere le proprie origini biologiche; nel caso di tecniche eterologhe, violazione unità della coppia; ecc…).
Da una parte, dunque, questa procedura potrebbe rappresentare una valida soluzione tecnica per prevenire malattie devastanti e garantire a molte famiglie la possibilità di avere figli sani; dall’altra parte, questa “via” porta con sé domande e perplessità etiche a cui non è semplice dare risposta univoca. Un altro esempio, quindi, che evidenzia la necessità di una continua alleanza tra scienza e riflessione morale, per garantire che ogni progresso acquisito sia “autenticamente umano”, ossia pienamente rispettoso della dignità della persona.