E se tutte le mense chiudessero domani? Il Natale si trasforma in emergenza
Cosa accadrebbe se, proprio a Natale, tutte le mense Caritas chiudessero? L’articolo apre una trilogia dedicata a un “Natale distopico”, mostrando come un solo giorno di stop basterebbe a far emergere la fragilità nascosta del Paese: migliaia di persone senza pasto, pronto soccorso sotto pressione, servizi sociali al collasso. Le mense non sono un gesto caritatevole, ma un pilastro invisibile del welfare italiano, sorretto da volontari, donazioni e fondi dell’8x1000 alla Chiesa cattolica italiana
Roma, 29 lugliuo 2025: Giubileo dei giovani - Mostra su Madre Teresa di Calcutta e servizio Scout alla mensa Caritas per poveri Giovanni Paolo II - (Foto Calvarese/SIR)
Immaginate il 25 dicembre: le luci scintillano, le vetrine sono addobbate, i centri storici pieni di gente allegra e turisti curiosi. Tutto sembra perfetto, ordinato, festoso. Eppure, davanti ai cancelli delle mense Caritas e delle strutture parrocchiali, regna il silenzio. Nessun volontario che accoglie, nessun piatto caldo servito, nessuno che distribuisce un pasto a chi non può permetterselo. Le porte sono chiuse. Solo un vuoto gelido che pesa più delle luci e dei panettoni. In Italia, la rete solidale cattolica e parrocchiale gestisce circa 300 mense, capaci di erogare ogni giorno tra gli 8.000 e i 10.000 pasti, solo grazie a volontari e donazioni. Nelle grandi città, i numeri sono impressionanti: a Roma, nel giorno di Natale, la Caritas serve più di 1.500 pasti, mentre a Milano si superano i 2.500 pasti al giorno nel periodo festivo.
Queste strutture non si limitano a distribuire cibo: rappresentano un pilastro invisibile del welfare italiano, sostenuto in parte dai fondi dell’8×1000 alla Chiesa cattolica, dalle donazioni private e dal lavoro instancabile dei volontari.
E ora immaginiamo, per un momento, che queste mense chiudano. Solo per un giorno. Che succede? Migliaia di persone rimarrebbero senza pasto, costrette a cercare alternative impossibili. I pronto soccorso registrerebbero un aumento degli accessi fino al 15% per ipotermia e malnutrizione, dati confermati dai registri ospedalieri dei periodi festivi. Le mense comunali non basterebbero a coprire il vuoto creato, e l’intera organizzazione dei servizi sociali locali verrebbe messa sotto pressione. Il Natale, in questa distopia ipotetica, non sarebbe più una festa: sarebbe una prova di sopravvivenza. E non è uno scenario futuristico:
basta un giorno di chiusura per rendersi conto di quanto il nostro Paese dipenda, spesso inconsapevolmente, dalla rete di solidarietà silenziosa.
Le mense cattoliche e parrocchiali non sono opzionali. Sono un’infrastruttura sociale che mantiene un equilibrio tra fragilità e sicurezza, invisibile ma indispensabile. Senza di loro, la magia del Natale si spegne, lasciando spazio a una realtà concreta fatta di fame, freddo e accessi ospedalieri.
Questo Natale ipotetico ci mostra quanto la rete solidale sia, in realtà, un pilastro strutturale dell’Italia contemporanea: un servizio che nessuna politica, per quanto lungimirante, potrebbe sostituire in pochi giorni.
E allora, se volessimo rispettare il politically correct e la laicità del Paese, potremmo dire che “per fortuna” non è così, ma non si tratta di fortuna piuttosto di “provvidenza”, cioè quella derivazione latina che significa previsione o precauzione, e viene da providere, cioè prevedere, e indica un’azione saggia e lungimirante, che forse non stupisce venga da una Chiesa guidata dalla provvidenza divina, quel pro-videre, ovvero vedere avanti.