Separati da una valle, ma uniti da un sentiero lungo il quale ancora oggi si trova un vecchio mulino, fulcro per la vita degli abitanti del luogo. Tutto c’è ancora, tutto scorre anche se è cristallizzato nel tempo. I verbi sono declinati al passato perché Vallier e Albe, nel Bellunese, sono paesi cosiddetti fantasma. Disabitati nonostante la romantica ostinazione di Umberto Bassan, padovano, classe 1948, che quand’era trentenne si innamorò di Vallier, spopolato nel 1966 a causa dell’alluvione, e qui ha acquistato una delle case abbandonate per viverci ore e ore durante la pensione, prima di sbattere dinanzi a un’altra devastante calamità, la tempesta Vaia. Vallier come Albe, ma anche come Fumegai di Arsiè, Stracadon in Comune di Chies d’Alpago o Pradisopra a Cencenighe. Non c’è più nessuno, è la memoria fatta di pietra e vettovaglie lasciate lì, una vita che si è spostata a valle, ma anche segno di una popolazione che invecchia sentendo sempre meno vagiti. «Questo territorio è un’immagine amplificata di quello che succede in Italia con la crescente denatalità – evidenzia Roberto Padrin, presidente della Provincia di Belluno – Il problema della montagna è sicuramente più forte perché qui significa perdere oltre mille abitanti all’anno su una popolazione già sotto i 200 mila. Possiamo elogiare gli aspetti positivi quanto vogliamo, tasso di disoccupazione praticamente nullo, qualità della vita alta riconosciuta dai vari osservatori, ma la questione è dare e garantire servizi alle persone, permettere a loro di vivere. Pensiamo alle cure sanitarie: con l’Ulss 1 stiamo pensando a soluzioni alternative come la telemedicina in grado di ridurre la distanza fisica per gli operatori sanitari che non possono vivere qui». Nel 2000, la provincia di Belluno contava 211.057 abitanti; nel 2022 siamo arrivati a 198.518 e da due anni si è rotta la soglia dei 200 mila residenti. Un’emorragia costante di circa 1.100, 1.200 persone all’anno, a cui si aggiunge il passaggio di Sappada al Friuli Venezia Giulia nel 2017. È il paradosso di questo lato di mondo che ha aree abbandonate, seconde case vuote, ma che fa fatica a trovare unità abitative accoglienti e attrattive per quella forza lavoro che proviene da fuori. Perché l’esigenza c’è e le aziende – in un contesto in cui l’offerta è maggiore della domanda – rischiano di dover delocalizzare per continuare a produrre. Serve prima una presa di coscienza e dopo abitazioni per infermieri, operatori sanitari e anche per dipendenti del settore manifatturiero. «Per l’anno scolastico 2022- 2023 abbiamo approvato l’iniziativa “Investi scuola” – spiega Padrin – un supporto economico per le spese di trasporto per gli studenti residenti nella provincia: un investimento da 1 milione di euro che garantisce agli studenti delle scuole superiori lo stesso abbonamento per il trasporto, un risparmio di almeno 300 euro all’anno per le famiglie, soprattutto quelle ai margini della provincia. Ci proviamo a reggere allo spopolamento, garantendo stessi diritti». E che scelta si ha una volta terminate le scuole superiori? A oggi Feltre è l’unico “polo universitario” (tolti gli enti di formazione) perché accoglie il corso di infermieristica dell’Università di Padova. Un solo corso, decentrato. «Dei passi in avanti si faranno solo se supereremo i confini – conclude Roberto Padrin – Quello che succede sulla montagna ha ripercussioni a valle, perché siamo cittadini di una stessa realtà. A inizio anno era stato presentato il Disegno di legge sulla montagna che avrebbe garantito 100 milioni di euro il primo anno, 200 il secondo e 300 milioni il terzo anno, uno strumento che dava finalmente attenzione ai comuni d’altura. Ma la caduta del governo ha interrotto tutto».