Se la velocità di copertura artificiale del terreno rimarrà questa saranno ingenti non solo i danni economici, ma anche quelli ambientali: il rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2021” dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca dell’ambiente (Ispra), stima tra gli 81 e i 99 miliardi di euro, in pratica la metà del Piano nazionale di ripresa e resilienza, i costi complessivi che l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere a causa della perdita dei servizi ecosistemici tra il 2012 e il 2030. E valuta che dal 2012 a oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo, per un totale di più di 90 miliardi di chilometri. In Veneto, tra il 2019 e il 2020, l’Arpav ha registrato 830 ettari di nuovo suolo consumato, cui vanno sottratti 148 ettari di suolo ripristinato. A far riflettere è il rapporto tra il tasso di consumo di suolo e quello di crescita della popolazione che è pari a meno 2,81.
Quindi il consumo di suolo nella nostra regione è avvenuto a fronte di una diminuzione della popolazione: «Si è avuta – spiega Andrea Crestani, direttore di Anbi Veneto – un’espansione di aree urbane a bassa intensità verso le campagne a scapito dell’agricoltura. Altre cause del consumo di suolo sono l’intrusione del cuneo salino che comporta la salinizzazione delle campagne anche decine di chilometri di risalita del fiume, la perdita di sostanza organica causata da siccità, aumento delle temperature, erosione e utilizzo eccessivo di diserbi e fertilizzanti chimici, ma anche l’aumento delle superfici destinate al fotovoltaico. In altre parole stiamo assistendo a un processo lento ma costante di desertificazione di vaste aree della nostra regione da cui deriva una minore capacità di assorbimento e dunque rischio idraulico». Nella sua analisi, Andrea Crestani inoltre evidenzia come dal punto di vista della sicurezza idraulica l’aumento della superficie cementificata stia aggravando una situazione già complessa a causa della particolare conformazione orografica del Veneto: la nostra regione è, infatti, per circa 240 mila ettari sotto il livello del mare e su complessivi 450 mila ettari di territorio, pari a un terzo della pianura, lo scolo delle acque piovane avviene tramite gli impianti idrovori gestiti dai Consorzi di bonifica. In altre parole il Veneto rischia di apparire come un grande catino con il fondo sempre più impermeabilizzato. Su 700 idrovore gestite dai consorzi di bonifica d’Italia, 400 sono in Veneto a riprova della particolare fragilità del nostro territorio. La maggior parte dell’utilizzo di suolo veneto nello scorso anno è da imputarsi al cosiddetto consumo reversibile, in particolare alla voce codificata come “cantieri e altre aree in terra battuta” che comprende anche piazzali, parcheggi, cortili, campi sportivi, depositi permanenti di materiali.
Tra questi citiamo i cantieri della base militare Dal Molin a Vicenza; quelli dell’alta velocità tra Verona e Vicenza; l’ampliamento di un campus a Roncade; gli insediamenti industriali, logistici e gli impianti fotovoltaici. «L’urbanistica – precisa Michelangelo Savino, professore ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica dell’Università di Padova – ossia lo strumento normativo preposto alla pianificazione del territorio non può essere sorda alle istanze di sostenibilità ambientale che arrivano da più parti. Ma è importante precisare che queste norme nascono da un quadro legislativo nazionale e regionale molto complesso che crea a volte una sovrapposizione di regole spesso contraddittorie tra loro che rendono difficile operare all’interno della città con immediatezza rispetto ai problemi che i cittadini evidenziano». Anbi Veneto ha sintetizzato in sette regole le misure da attuare per prevenire il rischio idraulico: fermare l’urbanizzazione non governata; rispettare i pareri di compatibilità idraulica sulle nuove urbanizzazioni; perseguire accordi e convenzioni con i Comuni; ricreare l’invarianza idraulica nelle aree già edificate; recuperare gli scoli nelle aree residenziali private; recuperare la capacità di invaso con la pulizia di tutti i fossi e delle scoline private nelle campagne; estendere i Piani delle acque a tutto il Veneto. «Riuso e ricucitura – conclude Savino – sono le parole alla base dell’urbanistica del futuro. Occorre intervenire sulle aree già “compromesse” e non più utilizzate oppure in quegli “interstizi” che la città a macchia d’olio ha lasciato che devono trasformarsi non solo in aree di connessione tra le diverse parti ma soprattutto di riqualificazione ambientale».
l Consorzio di bonifica Bacchiglione ha lanciato la campagna di sensibilizzazione “Respect” rivolta a istituzioni, amministrazioni comunali e cittadini. L’obiettivo è promuovere un approccio che rispetti le esigenze dell’acqua, a partire dalla piccola manutenzione e dalla pulizia di scoline private e caditoie: il concetto di fondo è che l’acqua ha bisogno di spazio, se non la aiutiamo ci pensa lei a prenderselo.