Il contesto storicoLa crisi delle banche italiane affonda le sue radici in quella finanziaria globale del 2008, ma esplode nel 2015. Quell’anno, secondo i dati della Banca d’Italia, il 22 per cento dei prestiti risultava deteriorato, cioè oltre un finanziamento su cinque veniva ritenuto a rischio di mancato rimborso. Tra il 2011 e il 2016, le banche italiane accumularono perdite per 62 miliardi di euro, così nel novembre dello stesso anno il Governo Renzi è “costretto” a intervenire per mettere in sicurezza Banca Etruria, Carichieti, Cariferrara e Banca Marche. Per la prima volta vengono applicate le nuove regole europee del bail-in: in buona sostanza parte degli oneri del salvataggio vengono scaricati sui piccoli azionisti e gli obbligazionisti dei quattro istituti. Lo strumento si differenzia dal bail-out, ovvero un intervento con aiuti dall’esterno, con il soccorso di fondi pubblici da parte degli Stati.
La riforma di RenziLa riforma varata da Matteo Renzi impose a dieci popolari con attivi di oltre 8 miliardi di euro di trasformarsi in società per azioni, rinunciando ai diritti speciali a partire dal voto capitario, per cui i dipendenti-soci presidiavano l’assemblea e le nomine. La riforma si proponeva di modernizzare il sistema attraverso una modifica della forma giuridica delle banche in Spa e il loro progressivo accorpamento in istituti via via più grandi. Un modo per frapporre una distanza non solo col territorio ma anche con i piccoli interessi di bottega che non sempre avevano fatto bene alle piccole casse locali. Fu quella la fine del “banchiere della porta accanto”: prima della crisi globale del 2008, in Italia un quarto del mercato era nelle loro mani. Da allora, complice la riforma e anche tutte le vicissitudini contabili, sul territorio nazionale 4.902 sportelli “popolari” sono scomparsi. Un calo dell’80 per cento, che li ha ridotti a 1.244 nel Paese: solo il 5,3 per cento dei 23.480 sportelli nel 2020. I quattro istituti sopra citati vennero ceduti a Ubi Banca e Bper. Poi fu il turno di Veneto banca e Banca popolare di Vicenza, che, sempre con lo stesso schema di risoluzione, vennero cedute a Intesa Sanpaolo.
«Costruita intorno a te»E poi ci sono loro, i bancari che tra un cambio d’insegna e l’altro, cercano di sopravvivere a un mercato del credito che è cambiato radicalmente e non fa più sconti. Ci sono i grandi istituti nazionali, come la già citata Intesa, che si sono radicati controllando le casse di risparmio e altri che ci hanno provato senza fortuna, come Monte dei Paschi con Antonveneta, già Popolare Veneta e Antoniana. Ma ci sono anche gli outsider, quelli che giocano fuori dalla mischia,come le banche digitali: le più note sono Ing Direct, dalla sgargiante livrea arancione, e CheBanca! in un non meno vivace giallo. Sono nate online offrendo servizi, conti correnti a canone ridotto – o azzerato – e interessi competitivi sui capitali vincolati ma ora hanno anche filiali in città, più confortevoli e moderne di quelle a cui eravamo abituati. E poi c’è Mediolanum del compianto Ennio Doris, il ragioniere di Tombolo divenuto il banchiere di fiducia di Silvio Berlusconi noto al grande pubblico per i celebri spot televisivi in cui tracciava cerchi nella sabbia per rimarcare una politica aziendale costruita sulle esigenze del cliente. Un modello, quello di Banca Mediolanum, destinato a far scuola: basta con le filiali e la burocrazia, solo agenti sul territorio seguiti e coordinati dalla sede centrale, i famosi Family banker.
Un’altra banca è possibileSe la definizione di banca del territorio è passata di moda, dal territorio nascono ancora esperienze che assurgono a una certa rilevanza a livello nazionale. Da Padova, per esempio, è iniziata la storia di Banca Etica che dal 1998 è fra i pionieri della finanza etica che oggi conta oltre centomila clienti e 46 mila soci. «Banca Etica adotta una politica del credito che non si accontenta di adottare rigorosi criteri di esclusione, che non consentono quindi di finanziare compagnie e pratiche dannose per le persone e per l’ambiente – spiega Paolo Ferraresi, componente dell’ufficio Sviluppo e orientamento crediti di Banca Etica – ma va oltre, in positivo. Banca Etica destina, infatti, esplicitamente i propri crediti solo allo sviluppo di settori e progetti che promuovono cultura, tutela ambientale, cooperazione internazionale e inclusione sociale». Se l’istituto padovano è presente con 21 filiali sul territorio, negli anni si è fatto conoscere per i suoi personalissimi banchieri ambulanti che ne hanno guidato la diffusione anche in zone del Paese dove non era presente una filiale della banca. Un sistema in parte già noto che ora, spiegano dall’istituto, è a una svolta: «Banca Etica opera oggi localmente anche attraverso una rete di consulenti di finanza etica, evoluzione professionalizzante dei citati “banchieri ambulanti” – precisa Ferraresi – Il consulente di finanza etica è quindi la persona che valorizza una relazione diretta e partecipe con i territori e la clientela privata, ne ascolta e comprende bisogni e progetti allo scopo di offrire le soluzioni più adatte di credito, di risparmio e di bancassicurazione». Un modello che sembra piacere ai veneti che hanno contribuito per 370 milioni di euro alla raccolta diretta oltre ad altri 180 milioni di euro legati agli investimenti etici.
Le banche europee e anche quelle italiane superano le criticità innescate dalla guerra in Ucraina. La Banca centrale europea ne promuove la solidità dopo aver superato gli stress test condotti nel 2022, aggiungendo che questo risultatoè stato conseguito malgrado il deterioramento delle condizioni economiche globali. Nella lista, con più di 100 istituti commerciali coinvolti, trovano posto molte banche italiane: Credem e Mediolanum, sono presenti nella Top 10, la prima al secondo posto; quella fondata da Doris si colloca al sesto. Seguono poi Iccrea Banca, riferita alle banche di credito cooperativo, Monte dei Paschi di Siena, Popolare di Sondrio, Bper, Cassa Centrale, Unicredit, Finecobank, Intesa Sanpaolo e Mediobanca.