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Mappe | Mappe 19 – Lavoro dignitoso – gennaio 2024

lunedì 22 Gennaio 2024

Il lavoro del futuro è già invecchiato. Intelligenza artificiale, etica e aggiornamenti costanti per il mondo dell’occupazione

Gianluca Salmaso

Questo articolo è stato scritto utilizzando l’intelligenza artificiale che, se impiegata con criterio, non sta rubando opportunità di lavoro ai giovani semplicemente perché quelle opportunità non esistono già più. Ne esistono e ne esisteranno sicuramente delle altre, talvolta persino migliori di quelle che venivano offerte in passato ma guardare al mondo per ciò che è stato è come guidare un’auto in corsa guardando solo nello specchietto retrovisore: un modo sicuro per andare a sbattere. Le sfide a cui anche il mondo del lavoro in Veneto è chiamato a far fronte, specie quando si tratta di sposare crescita e dignità, passano o passeranno tutte dall’impatto che avrà l’intelligenza artificiale e l’elevata automazione su ogni, singolo, settore economico e produttivo: «L’Ai può affrontare la disoccupazione giovanile in Italia attraverso programmi di formazione personalizzati, matching efficiente tra competenze e lavoro, consulenza professionale, creazione di posti di lavoro nell’industria dell’Ai, automazione e supporto all’imprenditorialità. Tuttavia, è cruciale gestire eticamente l’automazione e adottare politiche inclusive». Lo spiega ChatGpt, il più noto e popolare di questi strumenti, basta chiederglielo. Ma per conoscere più affondo la questione e capire le implicazioni ci siamo rivolti a Paolo Gubitta, docente di organizzazione aziendale all’Università di Padova nonché membro del comitato scientifico della Fondazione Lanza: «Dobbiamo stare vicini alle famiglie nella scelta della formazione dei figli perché se andiamo a prendere i lavori in crescita di quest’anno secondo le analisi del World Economic Forum e li confrontiamo con quelli di cinque anni fa, la famiglia media viene assalita dal dubbio di aver sbagliato tutto». Non gira attorno al problema, il docente padovano, ma lo mette in cima alla sua analisi: «I cambiamenti di questi anni si caratterizzano per la loro frequenza elevata e la velocità di propagazione: pensiamo a ChatGpt che ha visto la luce il 30 novembre 2022, è passato un anno o poco più e sembra di vivere in un’altra epoca». Un’epoca che in molti sovrappongono alla crescente fame di laureati Stem – acronimo traducibile dall’inglese in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – da parte dei datori di lavoro ma che si concretizza soprattutto in una polarizzazione del mercato non solo tra qualificati e non qualificati ma anche tra formati, propensi ad affrontare e gestire il cambiamento e arresi allo status quo. «La giusta transizione vuol dire che nessuno deve restare indietro e per affrontare cambiamenti così frequenti e veloci serve imparare abilità di base che aiutino le persone a interpretare un mondo che cambia, rinunciando a specializzarsi da giovani e rimandando all’ultima fase delle superiori – immagina ancora Gubitta, delineando de facto un percorso scolastico che sembra in tutto e per tutto una versione 2.0 del modello montessoriano – L’obiettivo è arrivare a una formazione che a me piace definire plug & play,“modello Lego”, che mi permetta di perfezionare la mia formazione non con piani di studio da decine di ore ma con blocchi da due o tre ore di formazione finalizzata». È il caso, per esempio, di tutte quelle professioni tradizionali che negli anni hanno dovuto riconvertirsi dall’artigianato a una versione più contemporanea: un tecnico specializzato nella sostituzione dei parabrezza delle automobili, solo per fare un esempio, negli ultimi anni ha dovuto imparare a maneggiare la complessa sensoristica che vi è installata. Quella che una volta era l’eccezione riservata a pochi veicoli di alta gamma e a un personale altamente specializzato, insomma, è finita per coinvolgere anche settori più generalisti necessitando di una formazione trasversale e continua per stare al passo con il mercato. Come quello sfasciacarrozze della Bassa Padovana che nelle riflessioni del docente padovano ha saputo vedere le opportunità intrinseche nel proprio lavoro e, investendo pesantemente nella digitalizzazione, è riuscito a trasformare un modello di business basato su strasse e fero vecio in un modello di economia circolare incentrato sul recupero e la rigenerazione di ricambi per auto. «L’abbiamo sperimentato con gli operai metalmeccanici Fim Cisl qualche anno fa dotandoli di piccole porzioni di competenze immediatamente spendibili, per esempio di natura digitale – ricorda Gubitta, e la storia chiarisce da dove partire – Un operaio riceve la busta paga sullo smartphone ma, per capirci, sa fare il download e la sa leggere? Perché altrimenti questa transizione giusta non la riusciamo a fare». Tutto il processo rischia di finire esattamente dov’è iniziato, cioè dalle persone e dalla capacità di includerle nel cambiamento che sta avvenendo intorno a loro ma per farlo bisogna formare tanto il lavoratore quanto chi lo circonda. E qui si finisce per forza per sfociare nell’aneddotica personale, in quelle esperienze in cui inconsapevolmente incappiamo quasi quotidianamente che però danno un senso e una dimensione alle cose di cui ci occupiamo. Come lo scarparo, nomignolo non sempre meritorio affibbiato agli imprenditori della Riviera del Brenta specializzati nella filiera della calzatura, che in coda in un noto centro medico si vantava in dialetto e al telefono di aver scritto tutti i dépliant pubblicitari con ChatGpt perché, anche se con qualche errore, erano disponibili in molte lingue e costavano niente. O come l’amico che, un poco incalzato, ammette di essersi fatto scrivere gli inviti al pranzo di Natale dall’algoritmo, neanche fosse un novello Cyrano. La sfida si è già spostata tutta sul piano dell’etica, insomma, abbandonando in parte quello tecnologico ma è ancora, soprattutto, una questione pratica: «Per non perdere opportunità di business, di lavoro, le persone dovranno per forza ricorrere a una formazione “modello Lego” per aggiungere quelle competenze che di volta in volta gli mancano – continua Paolo Gubitta – Rischiamo di espellere dal mondo del lavoro figure professionali che non vorrà più nessuno. Noi come società non possiamo non pensare a queste persone, giusto? Per farlo non possiamo rimettere sui banchi di scuola persone che non ci stanno magari da trent’anni: dobbiamo trovare strumenti nuovi per formarle». I giovani in questo sono, si presume, più propensi ad adattarsi e riescono a far fronte ai mutamenti del mondo usando strumenti che nessuno ha mai insegnato loro a utilizzare. Talvolta non sono neppure pagati per farlo ma rinunciarvi rappresenterebbe un costo troppo alto. Quanto di questo articolo, come si diceva in principio, è stato scritto con l’intelligenza artificiale? Ma, soprattutto, alle condizioni di tempo e con il budget a disposizione sarebbe stato possibile fare diversamente con la stessa qualità? E in futuro?

Come cambia il settore pubblico

Nei prossimi dieci anni andrà in pensione quasi un dipendente pubblico su tre, circa 1,2 milioni di persone su quasi quattro attualmente impiegate. Che ne sarà della Pubblica amministrazione? La volontà o meno di reintegrarli è politica ma la questione è più ampia. «Da parte nostra si possono individuare tre direttrici – scriveva Giuseppe Vegas sul Messaggero del 19 novembre – La riorganizzazione amministrativa, l’informatizzazione e la restrizione del perimetro dell’attività del settore pubblico».

Il calo degli imprenditori under 35

In dieci anni tra il 2012 e il 2022 sono scomparse dalle statistiche 150 mila imprese guidate da giovani imprenditori under 35. Pesa il calo demografico, certo ma anche i costi e le lentezze della burocrazia così come la carenza di capitale di rischio che, con l’aumento dei tassi, si è fatta palese. Ma i giovani hanno ancora voglia di fare gli imprenditori? Non per forza, di sicuro sono meno legati alla tradizione.

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