È passato solo qualche decennio da quando i prodotti biologici o riciclati erano destinati a un consumatore di nicchia, preoccupato più di non abbattere alberi o ingerire sostanze chimiche che di salvare l’intero pianeta da possibili catastrofi. E anche se il riscaldamento globale era già una realtà preoccupante, subito i negazionisti erano pronti a vederci solo un boicottaggio dell’economia. Ma i tempi cambiano in fretta e anche la Terra purtroppo, e se da una parte tali stili di vita al tempo contrastavano soprattutto la globalizzazione del mercato, dall’altra oggi è invece l’urgenza di sostenibilità che è diventata globale, tanto che la sua efficacia dipende dal coinvolgimento dell’intera popolazione mondiale nell’adozione di buone pratiche. Sappiamo quanto “l’essere green” sia ormai diventato di tendenza, tanto da spingere molti brand a prendere posizioni in questioni etiche e morali poiché, complici i social, il consumatore tende a scegliere prodotti che rispecchino i suoi valori. Ecco che parole come “bio”, “eco-friendly” o “a impatto zero”, vengono usate in qualsiasi contesto e senza bisogno di spiegazioni, poiché nella mente scatta un meccanismo associativo che le politiche del mercato conoscono e sanno sfruttare bene, tanto da generare un fenomeno di abuso e di inganno che viene definito green washing. Si tratta di una strategia di marketing che cattura l’attenzione dei consumatori attraverso pubblicità ingannevoli e falsi propositi per acquistare una più ampia fetta di mercato e aumentare il fatturato. Ecologismo di facciata in sostanza, ma che maschera un interesse economico con dei benefici per l’azienda. In futuro però usare termini come biodegradabile o riciclato, naturale o ecosostenibile, non sarà più uno scherzo, poiché il Parlamento Europeo ha adottato una nuova norma, approvata il 17 gennaio, che vieta, sulle etichette dei prodotti, quelle diciture che non siano scientificamente attestabili; inoltre regolamenta anche l’uso dei marchi di certificazione, che ora dovranno essere approvati da autorità pubbliche. In Italia poi il tutto viene pesato anche da un Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, che già vige a tutela dei consumatori.
È anche vero però che in questa giungla commerciale il cittadino si sente in una posizione di fragilità e disorientamento, dove non è facile sapersi difendere, per questo è necessario accrescere l’empowerment del consumatore, ovvero la consapevolezza, la responsabilità, la capacità di informarsi. È proprio questo uno degli obiettivi fondamentali dell’Agenda 2030; ne è convinto Valentino Bobbio, co-coordinatore del gruppo di lavoro Goal 12 dell’ASviS e segretario generale di NeXt Nuova Economia per Tutti, al quale poniamo alcune domande: «Il cittadino, soprattutto nelle realtà democratiche, svolge un ruolo cruciale nell’indirizzare la società, ma ricopre anche altri ruoli, quello di produttore/lavoratore e quello di consumatore/risparmiatore. Posizioni che possono entrare in conflitto, quindi la prima strategia da mettere in atto è quella di far crescere la consapevolezza della complessità dei diversi ruoli ricoperti da ciascuno di noi, della loro interdipendenza e della necessità di ottimizzarli nel loro insieme, in modo da essere cittadini sereni in un ambiente equilibrato, con un lavoro dignitoso e giustamente retribuito; con prodotti e servizi di qualità a un giusto prezzo. Dobbiamo diventare consum-attori in sostanza, e capire che siamo la domanda del mercato».
Ma come cittadini, cosa possiamo fare per combattere il green washing e diffondere il Green social procurement, cioè quello strumento che intende favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale attraverso l’uso efficiente delle risorse o l’economia circolare? «Se nelle nostre scelte di acquisto valutiamo il rispetto dell’ambiente e dei produttori di beni e servizi, cambiamo le logiche di mercato e rendiamo conveniente alle imprese investire in sostenibilità. È quello che l’economista Leonardo Becchetti definisce “voto col portafoglio”, semplicemente orientando le nostre scelte quotidiane di acquisto verso imprese responsabili, possiamo contribuire a salvaguardare l’ambiente e favorire un lavoro più dignitoso per tutti, quindi possiamo e dobbiamo votare con il portafoglio».
Come vede il futuro dell’Italia nel raggiungimento degli obiettivi del Goal 12? «L’impegno per la sostenibilità dev’essere trasversale e complessivo e purtroppo in Italia abbiamo buone politiche specifiche ma senza una visione generale. Siamo in grave ritardo. Il raggiungimento del Goal 12 è cruciale per una transizione ecologica e sociale efficace, ma non abbiamo risultati soddisfacenti. Per esempio il riciclaggio dei rifiuti urbani ha raggiunto il 60 per cento, e rispetto ad altri Paesi europei siamo molto avanti anche nel tasso di circolarità della materia, ma non abbiamo invece dati affidabili sull’impatto del Public procurement e sulla crescita di sensibilità dei consumatori».
Come si potrebbero incoraggiare le aziende, e le pubbliche amministrazioni, ad adottare buone pratiche? «La cultura della sostenibilità si diffonde, ma i tempi di un cambiamento culturale sono lunghi, perciò occorre accelerare la transizione. Una società equa e un sistema produttivo sostenibile sono necessari per tutti, anche per imprese e istituzioni, ma ci vuole un impegno fatto di passione e creatività se si vuole garantire un futuro alla società. Nelle amministrazioni locali vanno superati gli spunti polemici e va favorita una competizione positiva e bipartisan, facendo conoscere, per esempio, i percorsi di Comuni italiani virtuosi perché siano di esempio ad altri. Vanno premiate e fatte circolare le buone pratiche di imprese che dimostrano che si può fare e la convenienza di ciò, e noi consumatori dobbiamo dare sostegno al mercato di queste imprese responsabili: è qui che entra in gioco, come detto, il voto con il portafoglio». Insomma siamo soprattutto noi cittadini che possiamo fare la differenza, perché abbiamo la possibilità di influenzare il comportamento delle aziende scegliendo per i nostri acquisti quelle più attente all’ambiente e alle persone.
Secondo ASviS in futuro acquisteremo beni più durevoli, contrastando lo spreco di acqua e di energia. Ciò non si basa solo sul concetto emotivo del “Good for the planet”, che potrebbe anche non interessare a qualcuno, ma sul principio di convenienza del “Good for me”, traducibile in una serie di benefici per il cittadino come l’applicazione di tariffazioni premianti e agevolazioni fiscali. Il ministero delle Imprese e del made in Italy, inoltre, fornisce l’elenco delle associazioni riconosciute per il servizio ai consumatori.