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Mappe | Mappe 20 - Parità di genere - febbraio 2024

martedì 20 Febbraio 2024

Il supporto welfare che non c’è. Figli e genitori anziani solo sulle spalle delle donne

Cristina Griggio

Tuttavia, se l’Unione Europea impiegherà circa 67 anni prima di raggiungere tale parità – tempi lunghi, caratterizzati, tra l’altro, anche da situazioni di forte disparità tra un Paese e l’altro all’interno dell’Ue – in Italia i tempi saranno ancora più lunghi. Traduciamo questo panorama in cifre, iniziando con uno sguardo alla situazione del lavoro femminile: l’European Institute for gender equality assegna all’Italia un valore di 3,6 punti in meno rispetto alla media europea, con un tasso di occupazione femminile, secondo i dati del 2021, di 14,4 punti percentuali inferiore rispetto all’Europa. Il rapporto evidenzia altre lacune del nostro Paese, come le carenze nell’offerta di servizi alla famiglia. Un quadro che, a soli sei anni dalla data prevista per il raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’Agenda 2030, impone l’adozione di misure urgenti e risolutive. Nel corso degli anni, alcune proposte per sanare il deficit occupazionale femminile sono giunte, tra l’altro, dalla legge Golfo-Mosca 120/2011 che impone quote di genere negli organi di gestione delle società quotate e di quelli a partecipazione pubblica; dalla legge 15 febbraio 2016 n. 20 per la promozione delle pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive regionali; dall’estensione del congedo obbligatorio di paternità a partire dalla legge di bilancio 2018 e da altre iniziative di sostegno e finanziamento delle politiche di genere. A contrastare il raggiungimento di un’effettiva parità c’è, soprattutto, una rete di servizi scarsa, che in molti casi impone ancora alle donne la riduzione dell’orario di lavoro, con ricadute sul reddito e sull’autonomia personale. Nel 2022, secondo i dati di Save the Children il divario lavorativo tra uomini e donne è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63 per cento, contro il 90,4 per cento di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1 per cento, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8 per cento). Dovrebbe essere incrementato il supporto nella cura di familiari in condizioni di fragilità per età o malattia, che incide anche sulla natalità. A iniziare dal congedo di maternità, cinque mesi di astensione dal lavoro con un periodo flessibile di tre o quattro mesi dopo il parto (in Spagna i giorni di congedo sono equivalenti per entrambi i genitori: 16 settimane pagate al 100 per cento) al termine del quale le madri che non possono contare sul supporto dei familiari sono costrette a rivolgersi a un asilo nido. Secondo i dati Istat relativi al 2018, il Veneto offre 32.658 posti in 1.299 strutture tra asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia. Il che significa circa 29,1 posti ogni cento residenti tra zero e due anni di età. Un dato superiore alla media nazionale (25,5 per cento) di oltre tre punti percentuali. Questi dati collocano il Veneto all’undicesimo posto tra le Regioni italiane per livello di copertura del servizio, una quota che, attualmente, non gli permette di raggiungere l’obiettivo europeo di 33 posti in asilo nido ogni cento bambini. Per quanto riguarda la cura degli anziani, affidata spesso alle donne, anche questa comporta scelte difficili: quando la casa di riposo potrebbe costituire una scelta possibile, bisogna affrontare costi importanti per una famiglia con un reddito medio, che vanno da una media di 1.430 euro in Abruzzo e Sicilia, ai 2.300 di Veneto e Lombardia. Anche la distribuzione delle residenze per anziani in Italia rivela forti disparità, con una prevalenza delle strutture al Nord. Secondo il Gnpl National Register, la banca dati realizzata dal Garante nazionale per la geolocalizzazione delle strutture socio assistenziali sul territorio italiano, le Rsa nel 2021 erano 4.629; 351 di queste in Veneto. Impossibile quindi considerare vicino l’obiettivo di «riconoscere e valorizzare il lavoro di cura e il lavoro domestico non retribuiti tramite la fornitura di servizi pubblici, infrastrutture e politiche di protezione sociale e la promozione della responsabilità condivisa all’interno del nucleo familiare», come recita il punto 4 del Goal 5. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza individua la parità di genere come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni e prevede l’adozione della Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026. Le proposte del Pnrr riguardano il contrasto agli stereotipi di genere; l’adozione di un piano integrato per aumentare l’occupazione femminile; il contrasto del part time involontario; il riconoscimento del valore economico del lavoro di cura; la promozione della premialità per le imprese che occupano le donne. Peccato che dalle ricerche Ipsos tra coloro che conoscono l’Agenda 2030, soltanto il 13 per cento degli intervistati nell’ambito del Rapporto ASviS consideri il Goal 5 come prioritario.

Un’assistenza domiciliare pubblica

Nel rapporto Le Equilibriste – La maternità in Italia 2023 curato da Save the Children emerge che sono le madri a dedicare gran parte del loro tempo alla cura del figlio/a, sedici ore contro le sette del partner. Ben sei mamme su dieci non hanno accesso al nido, in più di un caso su quattro ciò è dovuto a carenze del servizio pubblico. Dalla ricerca si nota che il 63 per cento usufruisce dell’assegno unico, il mentre solo il 15 per cento beneficia del bonus nido. Le intervistate sottolineano che tra i sostegni che potrebbero cambiare in positivo la propensione ad avere ulteriori figli ci sono asili nido gratuiti e un’assistenza domiciliare pubblica in caso di malattia del bambino/a per permettere ai genitori di non assentarsi dal lavoro.

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