Dall’azzurro al giallo, in base alla differenza di concentrazione del metallo questi giacimenti rappresentano una nuova economia per il Cile, la nazione con la più grande disponibilità di litio al mondo. Le batterie dei nostri smartphone necessitano del litio, fino a 30 chili addirittura per le auto elettriche. Quale impatto ambientale, allora, hanno i veicoli che più fanno rima con futuro e trainanti verso la transizione ecologica? «L’approccio più illuminato, ma non è quello seguito dai regolatori, è considerare l’impatto ambientale dalla culla alla tomba di un determinato prodotto, in questo caso l’automobile – argomenta Cesare Dosi, docente di Economia e politica ambientale nel dipartimento di Scienze economiche aziendali dell’Università di Padova – Perché se noi limitassimo l’attenzione guardando a cosa esce dal tubo di scappamento, coglieremmo solo un sottoinsieme e non è detto che cogliamo quello più rilevante. Se si osserva esclusivamente l’emissione di gas climalteranti, l’auto più “pulita” è la full electric: la quantità di emissione di anidride carbonica che si produce per realizzare un veicolo elettrico puro è maggiore rispetto agli altri veicoli col motore a scoppio o ibridi, ma viene compensata con le zero emissioni della macchina quando viene utilizzata.
Se il nostro unico problema fosse il cambiamento climatico, i veicoli elettrici sarebbero la panacea; ancor di più se l’energia prodotta per alimentare il veicolo non è di origine fossile, ma realizzata con il solare o l’eolico. Ma…». Il “ma” è presto detto. Cesare Dosi ha sottomano un articolo scientifico pubblicato nel gennaio 2021 sul Journal of Cleaner Production, rivista internazionale di Elsevier, maggior editore in ambito medico e scientifico, e quello che hanno fatto gli autori è stato confrontare diverse tipologie di veicolo (benzina, diesel, ibrido, ed elettrico) analizzando i diversi impatti ambientali, guardando a una famiglia di inquinanti e attraverso il metodo Lca (lifecycle assessment): quanto inquina un oggetto nel suo intero ciclo vitale, dalla produzione, lavorazione, trasporto, utilizzo fino alla smaltimento? «Se allargassimo la visuale, guardando una famiglia più ampia di inquinanti e non solo la Co2 e pensando agli impatti sull’ambiente terrestre, marino, sulle polveri sottili e sull’emissione di sostanze tossiche che incidono sulla salute umana con effetti anche cancerogeni – prosegue Dosi – ebbene, il veicolo elettrico fa peggio di tutti gli altri, ha impatti più pesanti sull’ambiente. Questo è collegato alle batterie: la componente di elettronica già esasperata nelle vetture “tradizionali”, qui viene esaltata e si ricorre a un massiccio utilizzo di metalli pesanti. Il veicolo ibrido in realtà sta nel mezzo, non fa tanto meglio: sia sui gas serra e più in generale sugli altri fattori, non dà un grande apporto».
“Non esistono pasti gratis”, insomma. Si aggredisce un problema e spesso se ne crea un altro, ma questo non può essere un argomento tanto valido per non tentare e non provarci. Sapendo che ci sono anche etiche e che riguardano l’essere umano nella sua completezza: «Immaginiamo uno scenario futuribile – è l’invito del docente Cesare Dosi – in cui nelle nostre città circolano solo auto elettriche prodotte con l’energia più pura: le emissioni di gas serra si ridurrebbero, ma molto probabilmente trasferiremmo il problema geografico da un’altra parte. La salute dei Paesi ricchi ne guadagnerebbe, ma la qualità ambientale potrebbe peggiorare laddove vengono prodotti e dove vengono smaltite le componenti delle auto. Abbiamo già oggi le immagini delle discariche mondiali di cavi e batterie nei Paesi più poveri. Ci dobbiamo liberare del diesel di 10 anni fa che con il suo fumo inquina solo alla vista, ma non dare per scontato che con l’ibrido suv o con la city car abbiamo salvato il mondo».