Precursore dei tempi, toccando con mano le esigenze della popolazione, il suolo veneto ha visto formarsi un articolato complesso di istituti bancari che hanno inciso a loro volta nello sviluppo del sistema bancario dell’Italia. Qui sono state gettate le basi di due tipologie creditizie, le banche popolari e le casse rurale, attuali banche di credito cooperativo. Il “Big bang” fu il biennio 1822-1823 con la decisione del Regno Lombardo Veneto di stimolare la costituzione di specifiche istituzioni in grado di promuovere, soprattutto tra i ceti inferiori, la raccolta del risparmio privato. Il modello si ispirava a quanto già si stava diffondendo in Austria e negli alti domini dell’Impero asburgico con le cosiddette casse di risparmio: la prima di cui si ha traccia fu, infatti, la Die erste Sparkasse di Vienna del 1819. Fu un’acerba rete informe che introiettò l’esperienza dei Monti di pietà sorti lungo la Penisola tra il Quattrocento e il Cinquecento e compì i primi passi in Veneto su incarico del governatorato di Venezia, retto dal conte Karl Rudolf Inzaghy. Il 12 febbraio 1822, tra l’altro giorno del compleanno di Francesco I d’Austria, ci fu la solenne apertura delle Casse di Risparmio di Venezia, Padova, Rovigo, Marca Trevigiana, Udine, Monselice e Castelfranco. Solo le prime quattro, tuttavia, riuscirono a diventare stabili diventando punti di riferimento per l’economia locale. La presenza delle casse pose un’alternativa sia ai banchieri privati, sia ai banchi degli israeliti e questo generò effetti a catena con una ridefinizione dell’ambito operativo delle vecchie élite economiche.
Due filosofie di pensieroDue personalità, con i proprio distinti ideali, ebbero un ruolo fondamentale nello sviluppo prima del Veneto e dell’Italia successivamente, contribuendo in modo decisivo alla costruzione di quel tessuto connettivo, cioè il credito, che avrebbe favorito l’emergere della piccola imprenditoria. Da un lato l’economista veneziano Luigi Luzzatti con le banche mutue popolari, dall’altro Leone Wollemborg, anch’egli studioso di economia, con le casse rurali. Uno nato a Venezia nel 1841, l’altro a Padova nel 1859, entrambi di famiglia ebraica, i due studiosi facevano riferimento a due distinte esperienze germaniche in materia di credito al popolo. Luzzatti guardava agli operai dei primi opifici manifatturieri, ai bottegai, piccoli commercianti e maestri elementari; Wollemborg identificava il popolo nei coltivatori e agricoltori di sussistenza. Luzzatti fu colpito dalla metodologia di Franz Hermann Schulze-Delitzsch che in Germania ebbe l’intuizione di unire i piccoli lavoratori in associazioni di mutualità cooperativa che favorissero la raccolta tra loro di risparmi con cui alimentare l’erogazione di credito ai soci in difficoltà. L’economista veneziano Luigi Luzzatti, con la pubblicazione nel 1863 dell’opera La diffusione del credito e le banche popolari, spinse il banchiere Tiziano Zalli a fondare l’anno seguente la Banca Popolare di Lodi. Fu solo l’inizio: dal 1866 al 1878 ne sorsero ben 27, un quarto di quelle fino ad allora nate in Italia. Le prime furono la Banca popolare di Vicenza e la Banca mutua popolare di Padova, a cui seguirono poi la Banca popolare di Venezia e di Verona, le Mutue popolari di Dolo, quelle di Pieve di Soligo e di Vittorio, la Mutua popolare di Cittadella, la Banca popolare di Chioggia, quella di Motta di Livenza e di Asolo, fino a quella di Pieve di Cadore.
Diverso fu il percorso di Leone Wollemborg nello sviluppo delle sue casse rurali, come diversa fu la sua motivazione che derivava dall’indignazione per le condizioni di vita dei piccoli conduttori agricoli, spesso ridotti sul lastrico dai prestiti usurari praticati dalla grande possidenza. Su modello affinato dal borgomastro e politico della Renania Friedrich Wilhelm Raiffeisen, la sua era un’indignazione di un uomo libero contro le malefatte della classe sociale cui egli apparteneva, quella borghese, e che rinnegava. Fu un atto caritatevole e filantropico. Dopo essersi laureato, affiancò il padre nella gestione del patrimonio familiare occupandosi prevalentemente della tenuta di Loreggia acquistata nel 1870. Qui, in questo piccolo Comune dell’Alta Padovana, si scontrò con le condizioni drammatiche dei piccoli coltivatori e fu così che decise di dar vita alla Cassa rurale di Loreggia, costituita il 9 luglio 1883. Pur partendo con poche decine di soci e un capitale di duemila lire, dopo meno di un anno e mezzo era già riuscita a erogare 113 prestiti per un totale di 18.800 lire. In questo sistema si valorizzava la leadership che nasceva dal basso, dai veri protagonisti della cooperazione. Entro la fine dell’Ottocento gli istituti organizzati da Wollemborg erano 13 in provincia di Padova, 16 in quella di Udine, 11 nel Bellunese, 10 nel Veronese, 9 nel Veneziano, 6 ne Vicentino e 4 nella Marca Trevigiana.
L’impegno cattolico nel creditoA margine nella diffusione del credito popolare, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, si fece largo un forte impegno dei cattolici nell’espansione di casse rurali di tipo confessionale. Il “successo” altro non era che l’esito collaterale dell’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII del 1891 che interveniva sulla questione sociale apertasi in Europa con la seconda rivoluzione industriale e con il crescere delle diseguaglianze. In alcuni passaggi parlò esplicitamente di «amore del risparmio» o di «educazione» allo stesso, strumento di riscatto delle plebi che andavano necessariamente “educate”. Furono i preti di campagna, che vivevano quel degrado delle condizioni contadine, a recepire con maggior consapevolezza il messaggio dell’enciclica. E fu don Luigi Cerruti, nato il 14 marzo del 1865 a Mira, che il 6 agosto 1892 diede vita alla Cassa rurale di prestito di Gambarare di Mira, nel cui statuto volle come requisito fondamentale per diventarne socio una condotta «morigerata e onesta». Di fronte a chi, anche tra i cattolici, voleva mantenere la “neutralità” delle istituzioni economiche o ai laici, per i quali risultava addirittura impossibile concepire una cassa rurale cattolica, Cerruti pensava che essa soltanto avrebbe potuto «purificare l’ambiente così viziato, torbido dei moderni esercizi bancari» e creare una vera solidarietà, fondata sulla carità. Verso la fine del 1892 si costituirono la Banca cattolica vicentina e la trevigiana Banca cattolica San Liberale. Seguì l’anno dopo la Banca cattolica padovana che nel 1906 cambiò nome in Banca antoniana. Nel 1894 le casse rurali cattoliche erano già 164, mentre al congresso di Milano del 1897 risulteranno più di settecento e più di duemila le varie organizzazioni cooperative. Nel 1895 fu la volta del Banco di San Marco, voluto dal patriarca Giuseppe Sarto, futuro papa Pio X.
Un banchetto in patronato o al bar, un libro mastro dove annotare i versamenti e un libretto come ricevuta al risparmiatore. Per secoli il risparmio in Veneto è stato questo e il suo nome pare discendere proprio dalla peòta, imbarcazione veneziana utilizzata anche per le gite dei ceti meno abbienti, finanziate proprio con i magri interessi raccolti dai prestiti concessi dalla cassa.