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Mappe | Mappe 20 - Parità di genere - febbraio 2024

martedì 20 Febbraio 2024

La società è ancora impari. Il Goal 5 dell’Agenda 2030 si focalizza sulla parità di genere

Giovanni Sgobba
Giovanni Sgobba
redattore

Chiamiamola pure Agenda 2090. Secondo il rapporto 2023 dell’Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, i progressi registrati in Italia negli ultimi sette anni verso il conseguimento del Goal 5, quello relativo alla parità di genere, sono stati limitati e incompatibili con gli obiettivi da raggiungere entro il 2030, soprattutto tenuto conto della battuta d’arresto dovuta alla pandemia. Al punto che, complice il ritmo attuale italiano, si prevede che l’Unione Europea possa raggiungere la parità di genere fra 67 anni. L’Italia, infatti, secondo il rapporto Global Gender Gap Index, uno studio a cura del World Economic Forum, non solo si colloca al 79° posto nella graduatoria di 146 Paesi, ma registra un arretramento di 16 posizioni rispetto al 2022. Eppure, a una lettura superficiale, l’indicatore tricolore dal 2015 segna un complessivo miglioramento, grazie all’aumento della speranza di vita per le donne e della quota di occupate (55 per cento nel 2022, più 2,9 punti percentuali rispetto al 2020), alla riduzione del part time involontario, a un numero più alto di laureate in materie tecnico-scientifiche (13,2 per cento nel 2022) e alla crescente presenza femminile in ruoli apicali, inclusi i consigli di amministrazione, e nei consigli regionali. Progressi sì, ma comunque limitati: «Ci sono ancora una serie di penalità nella nostra società italiana che, per esempio, riguardano le politiche del lavoro, la possibilità di conciliare tempi di vita lavorativa coi tempi familiari, della cura dei figli: l’indice di natalità così basso è indicativo in questo senso – argomenta Marisa Galbussera, psicanalista e vicepresidente del Centro italiano femminile di Padova – Alcune piccole azioni sono state intraprese, come il congedo di paternità, ma non sono sufficienti, se pensiamo ai costi degli asili nido o un lavoro che non è ancora flessibile. Di fondo, c’è una questione che riguarda le politiche familiari arretrate, c’è ancora lo stigma per cui è sulla donna e sulla madre che deve ricadere il peso della prole, della famiglia. E questo incide sulla possibilità di concedersi riconoscimenti e crescite nel campo del lavoro, della politica, dell’avanzamento sul piano economico. All’interno del consultorio notiamo, non per tutte le donne sia chiaro, quell’atavico senso di inferiorità che nutrono nei confronti di loro stesse. E su questo dobbiamo lavorare». Del resto, per l’Agenda 2030, il Goal 5 ruota attorno a tre parole chiave: maggiore forza, autostima e consapevolezza di tutte le donne e le ragazze. «È una presa di consapevolezza a macchia di leopardo. Ci sono settori in cui c’è la voglia di partecipare, di dimostrare che la visione femminile della politica intesa come polis, come partecipazione, porterebbe un valore aggiunto all’amministrazione e alla gestione del Paese e della società. Ci sono settori che hanno fatto passi in avanti: il mio ordine proprio un paio di anni fa ha modificato la sua dicitura in Ordine delle psicologhe e degli psicologi del Veneto, partendo dal semplice dato che più dell’80 per cento di questa professione è rappresentato da donne. E va riconosciuto. Dopodiché in consultorio vediamo spesso donne vittime di violenza fisica, ma anche psicologica. E, sicuramente, con la pandemia la violenza intrafamiliare è aumentata, la costrizione sociale ha portato a strascichi importanti. Nell’ambiente siamo soliti affermare che, se un uomo dice “se mi lasci ti uccido”, per la donna è “se mi lasci mi uccido”, a sottolineare la diversità del rapporto e la dimensione della non autonomia. Anche economica. Molte donne si sono emancipate, non siamo più negli anni Sessanta dove non si aveva minima accortezza degli aspetti economici della famiglia, ma non pensiamo che sia tutto passato: la non capacità di avere autonomia finanziaria produce una sottomissione psicologica. I soldi rappresentano anche la libertà, senza non si riesce a ribellarsi, a separarsi». In tal senso basterebbero un paio di dati: in Italia, il 40 per cento circa delle donne tra i 25 e i 44 anni e tra i 55 e i 64 anni è dipendente economicamente, e il 17 per cento delle laureate tra i 25 e i 44 anni non ha alcun conto. Criticità dentro a criticità, se aggiungiamo poi che tra il 2010 e il 2022, in Italia si è registrato un aumento delle diseguaglianze territoriali: nel periodo analizzato, la media delle cinque Regioni più problematiche non ha registrato alcuna variazione, mentre il Veneto un piccolo step l’ha compiuto, grazie all’aumentano delle donne elette nei consigli regionali (pari al 35,3 per cento nel 2022). Una spinta significativa potrà arrivare dal Pnrr, che individua la parità di genere come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni e prevede l’adozione della Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che si inserisce nel solco della Strategia europea. È necessario riconoscere il valore economico del lavoro di cura, assicurando adeguati servizi di welfare e condivisione delle responsabilità tra lavoratrici e lavoratori, ma soprattutto è necessario realizzare un profondo cambiamento culturale: dalle ricerche Ipsos emerge che solo il 13 per cento considera il Goal 5 come prioritario, relegandolo in sestultima posizione tra i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile. «Non raggiungeremo la parità di genere nel 2030 – è schietta Marisa Galbussera – Non vorrei essere catastrofista, ma il mondo degli spot è una cosa, la mentalità della gente è un’altra. I movimenti culturali sono elefantiaci, ci vuole una metanoia, un profondo cambio di pensiero e di rapportarsi tra i sessi».

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