Il settore è comunque ancora di nicchia, dicono gli addetti ai lavori: a frenare la sua diffusione ci sono da un lato le complessità legate alla sostenibilità economica e dall’altro la necessità di diffondere maggiore consapevolezza tra i consumatori. Un esempio tipicamente Veneto di acquacoltura biologica è quello della vallicoltura, che impiega una tradizione centenaria per allevare prodotti ittici biologici secondo un modello che si basa sulla sinergia con la natura. Per vallicoltura si intendono tutte quelle pratiche di acquacoltura estensiva adottate nelle valli da pesca costiere, che in Veneto si concentrano nella laguna di Venezia, su un’area che si estende su 22 mila dei 77 mila ettari totali di territorio lagunare. A dare testimonianza di questo mondo ancora poco conosciuto è Silvia Bertaggia, account manager di Blue Valley, azienda che dal 1957 si dedica alla vallicoltura in Val Dogà, nella zona nord della laguna in provincia di Venezia, e i cui prodotti hanno certificazione biologica dal 2011: «Pratichiamo un allevamento estensivo, questo vuol dire che a marzo o aprile di ogni anno seminiamo gli avannotti, anche detti novellame, cioè pesci piccolissimi che ci vengono portati dagli allevatori. Seminiamo questi pesciolini liberandoli in alcune zone della valle, in cui possono stare al sicuro per un certo periodo dell’anno, poi quando sono sufficientemente cresciuti cominciano a “pascolare” liberamente. Non utilizziamo alcun tipo di mangime, nemmeno quello biologico. I pesci mangiano quello che trovano nel loro habitat. Quando arrivano i primi freddi, circa a fine ottobre il pesce viene richiamato verso il mare, in quanto l’acqua della valle si raffredda e quindi tende a fluire oltre la laguna, dove invece l’acqua è più calda. Così i pesci convergono in alcuni punti della valle in cui il personale addetto alza le chiaviche facendo convergere l’acqua del mare nei cosiddetti punti “colauro” e lì vengono pescati, principalmente con le reti». Attraverso il connubio tra tradizione e innovazione, l’acquacoltura biologica nelle valli lagunari apre la possibilità di puntare sulla sostenibilità non solo adottando tecniche di allevamento che hanno come obiettivo la preservazione dell’ecosistema locale, ma anche di fornire servizi come la produzione di crediti di carbonio volontari attraverso l’assorbimento di CO2 da parte delle alghe che poi si depositano nei fondali lagunari. Una pratica, quella dei carbon credits, che si inserisce nelle strategie globali per contrastare il cambiamento climatico. Secondo Blue Valley il modello biologico di acquacoltura e la possibilità di fornire opzioni green come i crediti di carbonio sono un tutt’uno: «La connessione tra l’allevamento biologico e lo sviluppo di carbon credits è che preservare l’ambiente della valle è la premessa fondamentale in entrambi i casi. Per esempio, attraverso il mantenimento degli argini, la gestione delle chiaviche per fare entrare la giusta quantità di acqua marina al fine di garantire livelli adeguati di ossigenazione, salinità, è possibile allevare il pesce in maniera biologica ma anche per garantire una qualità dell’acqua che permetta l’assorbimento di anidride carbonica. Il fatto di coniugare il biologico con i carbon credits è stata una scelta della nostra azienda, perché le nostre tecniche biologiche ci hanno permesso di fare ciò. Noi sosteniamo in primis il biologico perché la qualità del prodotto si sente, però da un punto di vista commerciale non c’è sufficiente riscontro». L’azienda Blue Valley è uno dei casi che mostrano come il poco noto mondo ittico biologico apra una serie di opportunità innovative, fondamentali anche per garantire sostenibilità economica di aziende attente all’ambiente, oltre che alla qualità del prodotto.
I crediti di carbonio sono certificati che attestano l’assorbimento di CO2 da parte di un’azienda. Le aziende che producono questi crediti li vendono in un mercato internazionale, in cui vengono comprati da imprese che invece producono il gas serra. Si attiva così un meccanismo di compensazione per cui risorse economiche vengono trasferite dalle aziende più inquinanti (che comprano i crediti) a quelle più sostenibili (che li vendono). L’obiettivo è favorire i modelli aziendali virtuosi in termini di impatto ambientale.