Bizzarre, allegoriche, per alcuni una burla, un gioco di illusioni. Sicuramente un punto di riferimento artistico che ha lasciato traccia nella storia. Dalla mente e dal pennello di Giuseppe Arcimboldo, pittore italiano manierista del Sedicesimo secolo, ereditiamo le sue Teste composte, ritratti e busti appunto allegorici le cui figure sono ottenute attraverso composizioni di oggetti, animali, fiori, frutta e verdura combinati con funzione illusionistica. Il contributo più originale di Arcimboldo è costituito dai due cicli dei “Quattro elementi” (aria, fuoco, terra, acqua) e delle “Quattro stagioni”, entrambi destinati alla residenza imperiale viennese durante il suo periodo a corte dell’imperatore Massimiliano II. L’estate per esempio ha i tratti gentili di una donna ed è composta da frutta e ortaggi: le ciliegie ornano tutto l’orlo della capigliatura e si ritrovano anche sul viso a comporre il labbro superiore; la guancia è formata da una pesca, il naso è un cetriolo, l’orecchio visibile è una melanzana, e il sopracciglio una spiga di grano. L’autunno, invece, è rappresentato come un uomo dai lineamenti grossolani: il collo è formato da due pere e da alcuni ortaggi, la faccia è formata da pere e mele, visibili in particolare sulla guancia e per il naso; il mento è una melagrana, mentre l’orecchio, un fungo, regge un pendente a forma di fico. Le labbra e la bocca sono formate dal riccio della castagna mentre la peluria del viso è resa tramite il grano. La capigliatura è composta esclusivamente da uve e viti, alla cui sommità si trova una zucca. Questi ritratti sono l’esaltazione della varietà delle produzioni di frutta e verdura, un assortimento il più possibile completo che anche oggi possiamo trovare sulla nostra tavola. Certo, i cambiamenti climatici e l’agricoltura intensiva per soddisfare sempre di più la pancia dell’Occidente ricco stanno alterando la ciclicità stagionale. Arcimboldo al tempo non poteva essere a conoscenza della differenza tra un approccio convenzionale e uno biologico, per certi versi erano sovrapponibili, ma sono proprio le storture sopracitate che la filosofia biologica prova a contrastare. Biologico è tutto ciò che promuove la biodiversità delle specie domestiche sia vegetali, sia animali; vuole offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o concimi chimici di sintesi; bandisce l’utilizzo di organismi geneticamente modificati; prova a ridurre l’impatto ambientale su acque, terreni e aria; si praticano rotazioni colturali e lavorazioni attente al terreno e al suo arricchimento; è vietato l’allevamento intensivo e gli animali sono allevati con tecniche che rispettano il loro benessere e nutriti con mangimi a loro volta bio. Una presa di coscienza “civile” si ha a partire dagli anni Sessanta, anche se già nel 1946 nacque in Inghilterra la Soil Association, la prima associazione per la difesa dell’ambiente e per un’educazione pubblica sulla nutrizione. Nel precedente dopoguerra, il principale obiettivo dell’agricoltura era quello di soddisfare gli urgenti fabbisogni alimentari che trascinarono con sé problemi ambientali causati da un uso eccessivo di pesticidi e fertilizzanti. Ad accendere i riflettori sulle controversie del sistema agricolo fu un saggio, The Silent Spring, scritto nel 1962 da Rachel Carson, una biologa marina americana. Da allora di passi avanti ne sono stati fatti tanti. Uno è stato compiuto il 24 giugno 1991, quando il Consiglio europeo emanò il Regolamento relativo al metodo di produzione biologico dei prodotti agricoli. È la prima normativa che disciplina i prodotti agricoli biologici, a esclusione del settore zootecnico, del vino e dell’olio, che sono stati inseriti successivamente. Un riconoscimento giuridico importante perché indicava già allora la procedura e le regole per l’etichettatura e il controllo dei prodotti biologici. Nel 2021 il mercato europeo dei prodotti bio ha raggiunto i 54,5 miliardi euro, in Italia la vendita tocca i 5 miliardi di euro di cui 4 miliardi di consumi domestici e per la parte restante si tratta di consumi fuori casa. Il settore da diversi anni ha messo il naso fuori dalla “nicchia”, uscendo dal confine soprattutto ideologico per cui è bio solo l’agricoltore con la sua piccola azienda e la bancarella al mercato. Sugli alimenti biologici si è attivato un effervescente import/export, ormai la Grande distribuzione organizzata è il canale di vendita più strutturato e questo inevitabilmente genera storture e cortocircuiti, anche in termini di sostenibilità ambientale e di rispetto concorrenziale. Entro il 2030, l’Unione Europea vorrebbe convertire il 25 per cento della sua superficie agricola in terreni biologici, l’Italia è sulla scia dopo un’importante crescita decennale, anche se al suo interno rimangono zone d’ombra. Come il Veneto che potrebbe fare molto di più.