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Mappe | Mappe 08 – Il Pnrr – giugno 2022

lunedì 20 Giugno 2022

Pnrr. L’Italia e il suo futuro. Sì, ma quale?

Rossana Certini
Rossana Certini
collaboratrice

«Un nuovo Paese è pronto a partire con “Italia domani”, il Piano nazionale di ripresa e resilienza». È stato lo slogan con cui il Governo ha comunicato e accompagnato il rilancio dell’Italia delineato dal Pnrr. L’Italia del domani, quella in cui vivremo nel 2026, sarà davvero nuova? Migliore o peggiore? Avremo più alberi e più ossigeno o più cemento e più anidride carbonica? Tomaso Montanari, storico dell’arte, accademico e saggista italiano, rettore dell’Università per stranieri di Siena, sembra non avere dubbi: «La risposta sta nelle pagine del Pnrr. I numeri non mentono: un piano che vuol contenere i danni di un disastro sanitario stanzia 25,13 miliardi per le grandi opere e solo 15,63 per la salute. E tra le grandi opere non c’è traccia dell’unica utile: la messa in sicurezza del territorio. Il Piano destina alle “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico” 2,49 miliardi, meno di un decimo di quanto regalato al cemento delle nuove infrastrutture». Anche tra le principali associazioni nazionali per la tutela del paesaggio il Piano suscita dubbi. Già un anno fa, Italia nostra, storica associazione per la tutela dei beni culturali e ambientali, ha presentato un dossier in cui analizza il Pnrr con un approccio trasversale alle sei diverse missioni. «La rivoluzione verde, con i suoi 69 miliardi di euro – si legge nel documento – e lo sviluppo infrastrutturale della missione 3, con 31 miliardi, sono gli ambiti che impatteranno più significativamente sul Paese, soprattutto sulle aree interne, dove si sta delineando un vero e proprio assalto ai territori da parte delle multinazionali delle energie rinnovabili e un progressivo depauperamento delle infrastrutture. È necessario istituire un tavolo tecnico di concertazione nazionale, con amministrazioni e uffici tecnici di competenza, il mondo del terzo settore e tutti gli stakeholders perché finalmente si arrivi a pianificare e localizzare gli impianti secondo standard di piena sostenibilità e rispetto del nostro patrimonio naturale e culturale». In Italia in questi anni il sistema degli incentivi e dei contributi energetici, specie sull’eolico, ha favorito il gigantismo degli impianti e le infiltrazioni mafiose, oltre a compromettere il paesaggio, specie al Sud. Al Pnrr si chiede di intervenire e di mettere mano per arginare questo fenomeno. Anche perché sul fronte del consumo di suolo non è ancora chiaro cosa accadrà dato che non si ha una mappa precisa degli interventi essendo i bandi ancora aperti e non tutti assegnati. Ma per Tomaso Montanari, il Pnrr «attribuisce 6 miliardi di euro alla “valorizzazione del territorio dei Comuni”: e siccome valorizzare ormai significa estrarre valore monetario, è già evidente che avremo altro cemento. Se il Piano parla della questione chiave del consumo di suolo lo fa solo per regredire dal consumo zero (che l’Unione Europea impone di raggiungerenel 2050 ndr)  all’invito, paternalistico, a limitarlo: il che significa dire “state buoni se potete” a un branco di capitalisti del cemento assatanati». Guardiamo in casa: il Veneto (come già raccontato nel numero di Mappe di novembre 2021) secondo i dati Ispra, è la regione che consuma più suolo in Italia. Tra le province, quella di Padova è addirittura la peggiore della regione con oltre il 18,6 per cento di suolo consumato: si è “mangiata” nel 2020 altri 135 ettari, pari a 170 campi da calcio. Del resto, in ambito edilizio sono tanti i progetti previsti dal Pnrr, da quelli per la tutela e la valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale a quelli per la sicurezza sismica dei luoghi di culto per evitare, oltre alle spese di ricostruzione delle chiese distrutte, la perdita di opere d’arte. Ci sono poi nuove palestre e strutture sportive per gli studenti, nuovi plessi scolastici o la rimessa in sesto di quelli già esistenti, programmi per valorizzare l’identità di luoghi: parchi e giardini storici fino al più noto Piano nazionale borghi. Quest’ultimo, predisposto dal ministero della Cultura, non manca di destare perplessità anche in Veneto per la scelta di Recoaro Terme, in provincia di Vicenza, come borgo rappresentativo dell’intera regione e a cui spetteranno 20 milioni di euro di risorse. La scelta sembra dovuta alle prospettive di sviluppo a lungo termine, unite alle potenzialità di crescita di tutto il territorio circostante e del complesso delle attività che qui vi gravitano. Le manifestazioni di interesse all’ambito “titolo” erano arrivate in Regione da 41 Comuni, nove erano arrivati in finale e ora gli esclusi presentato richiesta di accesso agli atti per conoscere i motivi che hanno portato alla scelta della località termale. Ricordiamo che il compendio termale di Recoaro Terme è di proprietà regionale che nel corso degli anni ha avviato un percorso di sviluppo finalizzato alla sua valorizzazione e riqualificazione nel suo complesso.

Laura Fregolent, presidente della sezione veneta dell’Inu, l’Istituto nazionale di urbanistica, spiega che «c’è sicuramente il rischio che i fondi possano essere investiti male ma questo non deve farci perdere di vista il fatto che è una grossa opportunità per il nostro Paese». Fregolent ha seguito, in qualità di docente dell’Università Iuav di Venezia, diversi progetti di Comuni, soprattutto veneti, che hanno risposto al bando Borghi. È giunta così alla conclusione che «occorre riflettere sul deficit di funzionari e strutture tecniche di cui soffrono i piccoli Comuni e che, invece, sono necessari per affrontare la complessità del bando sia nella fase di partecipazione che in quella successiva nel caso in cui si ottengano i finanziamenti». Il Piano nazionale Borghi, secondo l’Inu, presenta criticità anche laddove dà la possibilità alle piccole amministrazioni di aggregarsi (fino a tre enti) per partecipare. Una regola che potrebbe creare una geografia di aggregazioni dettata solo dalla necessità di fare numero, senza alcun riferimento a strategie di carattere territoriale. Il timore è che possano prevalere logiche quantitative e non qualitative, il tutto condito dall’assenza di una visione di area vasta per i piccoli centri abitativi. «Non possiamo dire che realmente sarà così – precisa Fregolent – perché non sono ancora pubblici tutti i progetti. È però importante ricordare che il Pnrr ha la missione di lavorare sulla rigenerazione culturale e il ripopolamento dei borghi attraverso anche il recupero edilizio. Questo vuol dire che l’amministrazione non può destinare le risorse che riceve solo alle opere edilizie ma deve progettare una rigenerazione del borgo». Tocca ricordare, ancora una volta, che i progetti devono essere realizzati entro il 2026 e i tempi così stretti potrebbero non giocare a favore della qualità del risultato: «Tanto denaro è un’opportunità, ma bisogna saperlo spendere. È necessario avere in testa dei buoni progetti e aver chiaro qual è il disegno strategico sul loro territorio. Quindi non ragionare in modalità “prendiamo il più possibile” ma avere una visione d’insieme precisa all’interno della quale collocare il progetto da Pnrr».

Il rilancio di 250 borghi italiani

Due linee di azione con 420 milioni di euro a 21 borghi individuati da Regioni e 580 milioni di euro a 229 borghi selezionati tramite avviso pubblico rivolto ai Comuni.

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