La guerra alla povertà è la principale sfida sociale dei nostri tempi. Non a caso, è stata inserita come primo obiettivo nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Lo ricorda l’Agenzia italiana fondata nel 2016 proprio per promuovere lo sviluppo sostenibile, ASviS, che fa pure presente come la differenza la facciano le misure intraprese dalle istituzioni. ASviS parte dal Rapporto 2023, basato a sua volta su un sondaggio Ipsos. Seppure la lotta alla povertà scenda all’ottavo posto tra le priorità dell’opinione pubblica italiana, nel Belpaese si percepisce comunque una forte frattura sociale tra ricchi e poveri: otto cittadini su dieci ritengono che nel proprio Comune di residenza la povertà sia in aumento negli ultimi anni, in particolare, nel Centro Italia, nelle Isole e tra i ceti popolari. A livello individuale, il 66 per cento degli intervistati si auto-colloca nella parte inferiore della piramide sociale, con un italiano su quattro che ha difficoltà ad arrivare a fine mese o si considera povero. Le difficoltà economiche delle famiglie e il sostanziale stallo del miglioramento delle proprie condizioni di vita sono riconducibili, secondo gli intervistati, agli stipendi bassi (55 per cento del campione, in particolare tra i 31-50enni), alla precarizzazione del mercato del lavoro (49 per cento, soprattutto al Sud e Nord Ovest), all’eccessiva tassazione (42 per cento) e alla corruzione (31 per cento). Il 40 per cento si aspetta un peggioramento della condizione economica della propria famiglia nei prossimi sei mesi. «Circa 5,6 milioni di persone, quasi un decimo della popolazione non può permettersi servizi essenziali» precisa Milos Skakal del gruppo di lavoro di ASviS, che sottolinea un aumento rispetto al 2019, quando la percentuale era attorno al 7,7. Il Rapporto sottolinea, inoltre, che permangono gravi ritardi delle politiche pubbliche: si notano avanzamenti temporanei e arretramenti che rendono il nostro Paese ancora incapace di costruire, in modo esplicito, un futuro senza povertà e disuguaglianze. E che attualmente occupa il terzultimo posto nella graduatoria europea. Il documento evidenzia inoltre che il Governo Meloni, anziché riformare il Reddito di cittadinanza come proposto nel 2021 dal Comitato scientifico per la valutazione, ha deciso di abolirlo a partire dal 1° gennaio 2024, sostituendolo con due nuove misure: l’Assegno di inclusione per il contrasto alla povertà e il Supporto per la formazione e il lavoro (quest’ultimo in vigore dal 1° settembre 2023). È stata così ribaltata l’impostazione precedente basata su uno strumento universale di lotta alla povertà, tornando alla logica “categoriale” che aveva caratterizzato le politiche di settore precedenti.
Sempre secondo AsviS, il nuovo sistema introduce altre forme di iniquità fra i beneficiari delle due misure e lascia scoperte larghe fasce della popolazione in condizione di miseria. In particolare, il diritto a usufruire di una protezione continuativa dello Stato è riconosciuto solo alle famiglie che presentano alcune caratteristiche (presenza di minori, di over sessantenni, di persone con disabilità e che rientrano nei requisiti di reddito e patrimoniali previsti), escludendo gran parte dei poveri assoluti, cioè single o coppie senza figli, con bassi livelli di istruzione, molti dei quali residenti nel Mezzogiorno. Il che porterebbe alla cancellazione del diritto di ogni cittadino in difficoltà, che rispetti determinati requisiti reddituali, patrimoniali e di residenza, di accedere con continuità, fino a quando il bisogno persiste, a un sostegno economico che gli permetta di condurre una vita dignitosa. Il risultato del nuovo sistema, come dimostrato da recenti stime dei potenziali effetti redistributivi della riforma, può essere un aumento significativo dell’incidenza della povertà e delle disuguaglianze. «Il Rdc andava rimodulato, non eliminato – afferma Giorgio Santini, senatore dal 2013 al 2018 dopo una vita nel sindacato Cisl Fim e dal 2022 parte del senior experts dell’ASviS – Come misura aveva di sicuro dei limiti, perché era tutto basato sulla corresponsione di un sostegno economico. E non incentivava la ricerca di attività lavorative, favorendo nel frattempo chi se ne approfittava. Non nego, tuttavia, che abbia avuto effetti positivi nel mitigare certe situazioni di disagio, soprattutto nel Sud Italia e durante il Covid». Allora che fare? Santini parla di rivolgere lo sguardo al locale, ai casi specifici, partendo dalla collaborazione del settore pubblico. «Sarebbe opportuno mettere a sistema le istituzioni: ministero del Lavoro, le Regioni di riferimento e gli enti locali, perché elaborino qualcosa di più concreto, mettendo a sistema dati e indagini sull’occupazione effettiva; il tutto, unito alla dovuta formazione. È per avere uno sguardo di questo tipo che abbiamo creato la sezione veneta di ASviS, AsVess, di cui sono presidente. E sempre a questo proposito, stiamo mettendo in piedi altre agenzie regionali. Nella nostra realtà regionale la situazione generale è migliore che in altre zone d’Italia, ma bisogna fare di più per l’integrazione dei lavoratori stranieri, di cui avremo sempre più bisogno». E non solo. In un’ottica di insieme, serve pure qualcos’altro: «Investire nell’edilizia residenziale pubblica per superare il disagio abitativo e porre attenzione al cosiddetto “lavoro povero”» puntualizza Giuliana Coccia, sempre del gruppo ASviS. Il Veneto non è immune: secondo la Cgil, ci sono oltre 200 mila working poor, individui che, pur avendo un lavoro e comparendo nelle statistiche come “occupati”, percepiscono meno di 11.500 euro lordi l’anno. Una condizione che tocca il 24 per cento delle lavoratrici, cioè una su quattro. (R. T.)
Nel 2023, in Italia, l’incidenza di povertà assoluta più elevata si osserva tra i minori di 18 anni: il 14 per cento di bambini e bambine sono poveri, un minore su sette. Stiamo parlando del dato più alto dal 2014. La povertà minorile è più diffusa al Sud, ma è importante sottolineare come nella fascia d’età tra 0 e 3 anni i livelli di povertà assoluta registrati nell’Italia centro-settentrionale siano molto elevati, superando il 15 per cento. Tra il 2021 e il 2022, in Italia sono stati adottati il quinto Piano nazionale per l’infanzia e il piano “Garanzia infanzia” (Pangi), che prevedono misure specifiche di contrasto alla povertà minorile, come assicurare accesso a servizi di cura della prima infanzia, educazione e attività scolastiche, un pasto salutare al giorno.