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Mappe | Mappe 02 – Il territorio – novembre 2021

lunedì 15 Novembre 2021

Quel che resta dell’era dei capannoni. Di fronte all’e-commerce il Veneto è al bivio

Gianluca Salmaso

C’è stata una stagione in cui il capannone era simbolo ed essenza stessa del successo di un imprenditore, una stagione fatta di spot surreali mandati a ripetizione da una galassia di televisioni locali. C’era il mobiliere che lanciava il credenson dal capanon per dimostrarne la solidità e i pellicciai che improvvisavano defilé nei loro sterminati fabbricati di periferia. C’erano, perché la gran parte di loro non è sopravvissuta alle crisi del nuovo millennio ma qualcosa di loro rimane ancora, i capannoni spesso abbandonati al loro destino.

Un capannone ogni 54 abitanti Secondo i calcoli di Confartigianato, l’Università Iuav di Venezia e Regione, in Veneto nel 2018 si contavano oltre 92 mila capannoni situati in poco meno di 5.700 aree produttive. Di questi 92 mila oltre 10.600 risultavano dismessi pari al 12 per cento del totale con un valore prossimo a 1,2 miliardi di euro da sommare ai 2,7 miliardi rappresentati dai fabbricati disponibili sul mercato. Si tratta al 43 per cento di immobili inutilizzabili, da rottamare, che incidono su una superficie prossima ai 12 milioni di metri quadrati. La provincia di Treviso è quella con il maggior numero di aree produttive per comune – 14 – mentre Vicenza da sola rappresenta in termini di valore il 22 per cento del totale regionale e il 20 per cento dei capannoni dismessi. Sono strutture spesso di medie e piccole dimensioni, figlie dello sviluppo artigianale e commerciale.

Spazio alla logistica In Veneto oltre il 18 per cento della superficie consumata è rappresentato dai capannoni, pari a circa 41.300 ettari di terreno. «La crescita demografica è la scusa che è stata spesso utilizzata per giustificare nuova urbanizzazione – spiega Michele Munafò, dirigente Ispra e curatore del Rapporto sul consumo di suolo – Ci siamo accorti di una cosa in realtà sotto gli occhi di tutti: il consumo di suolo cresce anche laddove la popolazione non aumenta. Da un lato questo è dovuto a previsioni di espansione, dall’altro è legato a fattori dovuti alle infrastrutture o a elementi nuovi: logistica e produzione di energia da fonti rinnovabili». Secondo il Rapporto sul consumo di suolo 2021 edito dalla Regione, nel 2019 gli esercizi commerciali sono diminuiti del 1,5 per cento. Se il piccolo commercio soffre, l’espansione della grande distribuzione non sembra conoscere crisi registrando un incremento del 6 per cento nel 2019 con oltre 2 mila esercizi e 2,6 milioni di metri quadrati occupati al netto dei parcheggi. Il 2020 è stato però l’anno dell’e-commerce che a marzo, complice il lockdown, ha registrato un aumento delle vendite del 20,7 per cento sull’anno precedente: un fenomeno che coinvolge le grandi multinazionali del settore, prime fra tutte Amazon e Zalando, ma che avrà una ricaduta su tutta la filiera produttiva coinvolta in un generale ripensamento dei canali di vendita. Se la regione con la più alta quota di consumo di suolo legato alla logistica è l’Emilia-Romagna, il Veneto è quella che nel biennio 2017 – 2018 ha rappresentato la maggiore accelerazione. Una situazione destinata a sconvolgere anche le prospettive urbanistiche: se i capannoni del “miracolo Nordest” avevano superfici a misura d’artigiano, i grandi poli della logistica hanno necessità di maggiori collegamenti infrastrutturali e dimensioni molto più grandi. Il nuovo polo Amazon di Marghera ha una superficie di 11.400 metri quadrati, poca cosa rispetto a quello di Casale sul Sile stimato in 114 mila.

Uno sviluppo inefficiente «In Italia abbiamo una media di 28,6 metri quadrati di territorio consumato per milione di euro di Pil all’anno, in Veneto andiamo a 41 – continua Michele Munafò – In Lombardia a 19 quindi, da questo punto di vista, potremmo dire che è più efficiente del Veneto». Un dato colpisce nel rapporto Ispra e riguarda la capacità di creare ricchezza: se a una prima analisi l’aumento di suolo consumato è del più 0,47 per cento pro-capite rispetto a un incremento del Pil, nello stesso periodo, del 0,78 per cento lascerebbe ben sperare, questo va stemperato dal più 0,16 per cento realizzato dall’export e dal confronto con gli andamenti nazionali. «Sono dati che indicano in modo piuttosto evidente come il consumo di suolo nella Regione sia effettivamente poco sostenibile sia dal punto di vista demografico come da quello produttivo e del Pil in generale» ribadisce Munafò. Se il rapporto tra consumo di suolo e creazione di Pil tende a migliorare a livello nazionale, in Veneto si mantiene progressivamente costante, segno che l’attuale modello di sviluppo regionale è come un fiammifero acceso che emana meno luce via via che si consuma.

Il mattone costa, il cemento pure La tassazione sugli immobili è storicamente una delle più invise agli italiani che, negli anni, hanno sviluppato un vero talento per combatterla. Se per le case non è raro il tentativo di ri-accatastare come ruderi le unità collabenti – si tratta sempre e comunque di una proposta che il contribuente fa e che l’Agenzia delle entrate può accettare o meno – dimostrando come non siano più atte a produrre un reddito, per i capannoni la soluzione è quantomeno giacobina: decapitazione del fabbricato, sempre non ci si metta di mezzo qualche ufficiale comunale a contestare un abuso edilizio o una violazione nello smaltimento delle coperture. Il fenomeno ha conosciuto un particolare fermento dopo la crisi del 2011 quando era all’ordine del giorno leggere di immobili mutilati di serramenti e infissi o addirittura rasi al suolo per evitare l’insorgere dell’imposta. Negli ultimi dieci anni le case divenute ruderi sono più che raddoppiate, passando da 278 mila a oltre 575 mila in Italia. A volte però l’idea di scoperchiare il capannone non si palesa neppure quando alla porta bussano i corsari del “made in Italy”: l’ultimo caso è del settembre scorso quando, in un capannone di Casale di Scodosia, sono stati trovati 154 operai cinesi costretti a lavorare sette giorni su sette. La formula è ben conosciuta: una serie di società a fare da schermo alla reale attività attraverso false fatturazioni, mancato versamento degli oneri previdenziali e contributivi oltre al ricorso sistematico al lavoro nero. Il tutto, ovviamente, per rendersi appetibili a quel mondo della moda che vive di subappalti nonostante la griffe apposta sul prodotto finito lasci immaginare ben poche economie. L’alternativa è troppe volte vedersi il capannone tramutato in discarica abusiva perché qualcosa bisognerà pur fare, alla fine dei conti, di queste cattedrali erette dall’artigianato che fu.

Il consumo di suolo non genera più Pil

Anche in assenza di un sensibile aumento della popolazione, in Veneto si continua a costruire non solo secondo previsioni di espansione ma anche per nuove infrastrutture legate principalmente alla logistica e alla produzione di fonti rinnovabili. Ma la silhouette della Regione, costellata da cattedrali nel deserto e scheletri di ferro, deve tener conto dei tanti capannoni abbandonati, figli dello sviluppo artigianale del secolo scorso. Ruderi su cui i proprietari pensano bene di togliere il tetto per non pagare l’Imu.

L’obiettivo? Evitare le imposte

Se per evitare l’Imu si cerca di declassare l’immobile, per evitare le altre imposte i sistemi sono tanto grossolani quanto efficaci. Nel primo anno di vita, l’azienda presenta un bilancio falsato, nel secondo non lo presenta affatto e nel terzo chiude salvo poi riaprire con una nuova ragione sociale e dietro un nuovo prestanome.

La presenza di Amazon nel Polesine

Secondo i dati Ispra, dei tre piccoli comuni, con meno di cinquemila abitanti, che “svettano” per consumo di suolo dovuto ad attività di logistica, due sono in Veneto. Stiamo parlando di Castelguglielmo e San Bellino, in provincia di Rovigo, il primo con 14,48 ettari consumati; il secondo con 4,39 ettari. Il “responsabile” è facilmente individuabile: è il nuovo centro Amazon.

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