Nella filosofia antica l’assioma era considerato un principio evidente per sé, e che perciò non aveva bisogno di esser dimostrato. Anzi essendo verità nota a tutti, era considerata necessaria. Nell’evoluzione degli uomini e attraverso la contaminazione di popoli, esperienze e non da meno lingue dal latino axioma si può risalire fino alla derivazione greca che racchiude in sé il senso di “qualcosa di meritevole, degno, dignitoso”. Ecco la dignità è quel valore intrinseco proprio dell’essere, non dipende da nessuna azione, scelta, la dignità non ha bisogno di essere dimostrata, è uno status riconosciuto e da riconoscere. Un pilastro su cui si dovrebbe sorreggere l’insieme di diritti civili dell’uomo. Eppure l’Agenda 2030 dedica al suo Goal numero 8 il raggiungimento non di un “semplice” lavoro e della corrispondente crescita economica di una Nazione. No, accanto al lavoro ribadisce l’aggettivo “dignitoso”. Il solo lavoro non basta. Perché nel mondo, ma anche in Italia il solo lavoro non è garanzia di una vita dignitosa, indipendente, libera. Non è dignitoso un lavoro che precarizza, peggio ancora schiavizza, o che uccide, o che non dà prospettive di futuro, o rende vulnerabili e ricattabili. A schiena dritta, il titolo scelto per questo numero di Mappe, è la postura, fiera e orgogliosa che dovrebbe assumere qualsiasi lavoratore. Ma ciascuna tessera che compone il puzzle-lavoro, come rappresentato in copertina da Giorgio Romagnoni, ha la sua instabilità: c’è chi rivendica leggi adeguate, la risoluzione del gender gap o il raggiungimento del dibattuto salario minimo. E c’è chi si vuole strappare di dosso l’etichetta di lavoratore povero. Secondo una stima di Cgil Veneto sono oltre duecentomila i working poors in Regione, individui che, pur avendo un lavoro e comparendo nelle statistiche come “occupati”, percepiscono meno di 11.500 euro lordi l’anno. E non sono solo rider o corrieri: circa il 40 per cento di chi lavora nel terziario, nei servizi della ristorazione, del turismo percepisce salari sotto la soglia sopraindicata. «Bisogna favorire al massimo il senso di partecipazione dei lavoratori ai destini delle imprese – è lo sguardo costruttivo di Giorgio Santini, dal 2022 parte dei senior experts dell’Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile – L’azienda non è solo un luogo e il lavoratore non è solo persona “anonima”. Aiuterebbe tutti a responsabilizzarsi di più, a coinvolgere datore e subordinati, condividendo le finalità e come raggiungerle. Ma non possiamo non partire dal presupposto che ci vuole il rispetto delle normative: in Veneto abbiamo troppo irregolare e lavoro povero, possiamo parlare di salario minimo o dell’applicazione generalizzata dei contratti di lavoro. Andrebbe trovato il modo di farne realtà, gli ispettori ci dicono che l’irregolarità non ha percentuali enormi, ma è endemica nel nostro tessuto economicoproduttivo». Dati alla mano, tra il 2015 e il 2021 l’Italia è il Paese che ha conseguito i miglioramenti più contenuti, collocandosi all’ultimo posto della classifica europea. Il tasso di occupazione nazionale è del 64,8 per cento, al momento lontano dal target Ue del 2030 fissato al 78 per cento. Il Veneto, come da tradizione, viaggia con una marcia diversa con 71,6 punti percentuali. Eppure in Regione, come nel resto della penisola, il tasso di disoccupazione, pur in diminuzione rispetto ai livelli del 2014, resta tra i più alti nell’Unione Europea. Inoltre nel 2022 i Neet (giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano) erano 1,67 milioni, ovvero quasi uno su cinque (per l’Unione Europea dovranno essere meno del 9 per cento fra sei anni). Un po’ meglio il Veneto con circa il 13 per cento: «Il lavoro di qualità i giovani lo cercano fuori dal Veneto – rimarca Santini – Senza allarmismi ingiustificati, dobbiamo porci una riflessione sia sull’offerta formativa sia sul sistema economico-produttivo che valorizza poco le possibilità di impiego o le prospettiva dei giovani: la mobilità delle persone è aumentata, è un dato fisiologico; cercare ambiti che non ci sono in Veneto non è un limite, se però aumenterà la tendenza di cercare in altre Regioni e all’estero impieghi di qualità, allora questo è campanello d’allarme che il Veneto deve considerare». Di fatto, come riporta il report Statistiche flash della Regione Veneto di settembre 2023, sebbene nel 2022 le imprese venete abbiano previsto il 31,8 per cento di assunzioni di under 29 (la seconda quota più elevata di giovani richiesti in Italia), la domanda di giovani laureati in Veneto è bassa, appena l’8,7 per cento delle entrate under 29 anni. Fra i giovani, poi, più alto è il rischio di vulnerabilità, con stipendi più bassi e maggior precariato: sono 34 per cento chi non ha una stabilità rispetto al 12 per cento fra gli over 35 anni. Infine c’è un target del Goal 8 che sbatte in faccia all’Italia e al Veneto le proprie responsabilità. Quello di promuovere un ambiente di lavoro sicuro e protetto per tutti i lavoratori. Ma è davvero possibile con quasi mille vittime nel 2023 in Italia: «Anche una sola morte sul lavoro è una sconfitta per tutti – conclude Giorgio Santini – E si parla anche di malattie professionali. Non è che non si faccia nulla, ma si deve fare di più: prevenire dev’essere il verbo quotidiano da praticare. Rispettare le regole antinfortunistiche e le modalità e di come si gestiscono macchinari e sostanze. Sicuramente siamo lontani da una civiltà del lavoro che sarebbe necessaria. È un punto di fragilità e di sicuro i numeri sono alti per poter dire che si è fatto tutto quello che si poteva fare».