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Mappe | Mappe 04 – Il settore primario – febbraio 2022

lunedì 14 Febbraio 2022

Settore avicolo in ginocchio. La lunga scia di morti dell’aviaria più letale di sempre

Giovanni Sgobba
Giovanni Sgobba
redattore

Per quanto storicamente ciclica, quest’ondata epidemica di influenza aviaria che ha travolto il Veneto, ma non solo il Veneto, è più letale degli anni passati. «Abbiamo circa 285 mila capi – sottolinea Barbetta salvo poi correggersi – Anzi, avevamo purtroppo. Siamo diventati focolaio il 30 novembre e il 1° dicembre sono state sequestrate le aziende dall’autorità sanitaria. È successo dalla notte al giorno, un arresto improvviso, non programmato: 26 dipendenti fermi, alcuni sono stati “arruolati” per recuperare le carcasse». Un effetto domino ad alta patogenicità che non ha risparmiamo volatili di alcun tipo. Morti 5 mila gru in Israele; abbattuti 26 cigni della regina Elisabetta, quelli che tradizionalmente nuotano lungo le rive del Tamigi vicino al castello di Windsor, a cui si aggiungono i 33 esemplari morti dall’inizio dell’epidemia. In Italia, nella sua fase più acuta, si è assistito a un coagulo rosso che dal Veronese si è propagato nel Padovano, con punte in zona Rovigo, Vicenza, ma anche in Lombardia. Un distretto in cui si concentra un terzo della produzione di polli e tacchini in Italia. «È un’epidemia che si presenta stagionalmente –  puntualizza Calogero Terregino, direttore del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria dell’Izsve, l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie – veicolata dai flussi migratori di uccelli che partono dalla Cina, dalla Mongolia, dal Kazakistan e attraversano il Mediterraneo per lo svernamento verso luoghi più caldi. Il virus circola attraverso le feci che vengono in contatto con gli allevamenti. Solitamente l’Italia è interessata nel mese di dicembre, invece quest’anno è stato precoce, il primo caso si è registrato il 19 ottobre e poi l’intensità può variare in relazione a dove si sviluppa il virus: nella provincia di Verona la diffusione è stata molto ampia, è entrato nel cuore del sistema agricolo soprattutto perché i vari settori di produzione qui sono tutti collegati e uno vicino all’altro». In pratica tre mesi di crescendo continuo fino al 10 gennaio, data dell’ultimo caso registrato in Veneto e Lombardia. Poi altri episodi isolati e sparsi tra Lazio, Toscana e in Puglia con la morte di un airone selvatico. In totale 309 focolai registrati dall’Izsve, circa 250 solamente in Veneto; 15 milioni di volatili morti (su circa 47 milioni in totale, un terzo degli avicoli italiani) tra decessi direttamente collegati al virus e abbattimenti preventivi, cioè la strategia del “vuoto biologico” attorno all’allevamento infetto per evitare il diffondersi della malattia. I numeri precisi, però, non li sa ancora nessuno, solo in una seconda fase, quando le aziende trasferiranno i dati delle perdite per accedere ai rimborsi, avremo stime più accurate. Galline ovaiole, tacchini e broiler, il pollo allevato esclusivamente per la produzione di carne. E poi ancora fagiani, faraone, oche, quaglie. Nessuno è stato risparmiato ed è un’anomalia sotto gli occhi di Michele Barbetta: «Rispetto alle altre emergenze, tipo quelle del 2001 o anche del 2013 e 2017, il broiler non veniva contagiato e si è dato per scontato che in questa circostanza venisse risparmiato. Questo ovviamente ha tratto in inganno chi pensava di avere allevamenti non infetti. Inoltre il ceppo in questione, l’H5n1, è molto virulento e anche questa è un’anomalia: a differenza delle altre influenze, la letalità è stata del 100 per cento, va contro le stesse regole naturali. Questo virus si autodistrugge senza creare i presupposti per la sopravvivenza».

La domanda, ora, viene spontanea: essendo un fenomeno ciclico, come può il sistema “ripararsi”? Sia a livello europeo che nazionale, una serie di normative negli anni hanno incrementato e innalzato i livelli di biosicurezza, mettendo in atto sistemi per mitigare il rischio di introduzione del virus negli impianti avicoli. Ma come ha evidenziato Terregino sono misure che tengono fino a un certo punto, basta un anello debole, una lacuna nel sistema avicolo che è sì molto moderno, ma allo stesso tempo fragile: in un raggio ridotto di chilometri si concentrano tutti gli anelli della filiera, dagli allevamenti agli incubatori, dai mangimifici ai macelli. Il settore ha subìto il colpo e gli strascichi si innestano in un momento storico già provato dai rincari energetici: le pulcinaie, per esempio, sono luoghi dove il pulcino arriva con un giorno di vita e ci rimane fino al raggiungimento dei quattro mesi, e richiedono un ambiente con 36 gradi di temperatura e confortevole. «È una mazzata, dal punto di vista umano perché abbiamo visto nascere e crescere questi animali, li abbiamo accuditi. E poi subentra anche un problema finanziario: il settore delle carni bianche in Italia garantisce prezzi bassi e molta qualità con poco impatto sull’ambiente. All’anno sulle nostre tavole vengono consumati 20 chili di carne pro capite e 240 uova non solo intere, ma per pasta all’uovo, dolci e così via. Negli anni, per raggiungere la sensibilità dei consumatori, siamo passati da gabbie a voliere all’aria aperta, abbiamo investito su animali liberi e questo ha richiesto l’ammodernamento di strutture e attrezzature per valori attorno ai 30-35 euro per animale. Si fanno crediti bancari e oggi è il problema più grosso perché le rate dei mutui non si bloccano». La sezione nazionale avicola di Confagricoltura ha trovato un accordo con i principali istituti bancari per ottenere una moratoria sui mutui fino a fine anno. L’area padovana è uscita dalla zona di sorveglianza l’8 febbraio e stanno partendo le prime domande per far ripartire l’accasamento di polli e tacchini. Nei mesi scorsi Michele ha scattato una foto del suo allevamento: quando tutto sarà alle spalle si è ripromesso di affiggerla all’ingresso dell’azienda come segno di rispetto e di monito.

Una possibile causa: il fattore genetico

Essere animali, l’organizzazione no profit che si definisce «in prima linea nella difesa degli animali per un pianeta equo verso tutte le specie» ha pubblicato un video girato dall’alto con un drone in cui dimostra come si abbattono i capi di pollame infettati dall’epidemia di aviaria. I polli, come si vede nel filmato realizzato sui tetti di un’azienda vicentina, vengono raccolti con la pala di una ruspa e poi ammassati all’interno di container che, una volta sigillati, sono riempiti di gas. Secondo l’organizzazione con sede a Bologna, un’ulteriore spiegazione sulla letalità del virus è da rintracciare nel fattore genetico: negli allevamenti gli animali sono geneticamente identici e quindi un virus può agire indisturbato senza incontrare varianti genetiche che ne impediscano la diffusione.

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