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Mappe | Mappe 04 – Il settore primario – febbraio 2022

lunedì 14 Febbraio 2022

Sfruttamento nell’agricoltura. Mani sporche, ma non di terra

Redazione
Redazione

L’ operazione “Polvere di stelle”, conclusa lo scorso 7 febbraio dal gruppo carabinieri tutela lavoro Venezia e dai nuclei dell’ispettorato del lavoro di Vicenza e Padova, è solo l’ultima di una lunga serie di attività investigative che hanno messo in luce come anche in Veneto sono in aumento i casi di sfruttamento lavorativo nel settore agricolo. I carabinieri hanno arrestato cinque persone: il titolare dell’azienda fornitrice di manodopera e i suoi due figli, cittadini marocchini che si occupavano del reclutamento dei lavoratori; un suo stretto collaboratore di cittadinanza albanese, con le funzioni di intermediario di manodopera e una donna italiana, collaboratrice di uno studio commercialista, che svolgeva le funzioni di consulente del lavoro operando per consentire alla cooperativa di evadere gli oneri contributivi da versare in favore dei dipendenti. Fai Cisl Veneto – da tempo impegnata nel contrasto di tutte le forme di lavoro irregolare, non solo nei campi ma nell’intera filiera agroalimentare – evidenzia come negli ultimi mesi del 2021 delle 13 imprese agricole esaminate dagli ispettori in diversi comuni della provincia di Venezia, nessuna è risultata in regola; analogo nel Polesine dove sono fuori legge diverse imprese tra le 24 controllate.

«L’agricoltura veneta – spiega Andrea Zanin, segretario generale di Fai Cisl Veneto – purtroppo, non è composta soltanto da eccellenze, e come tutti i territori non ha ancora sviluppato una concreta immunità rispetto ai fenomeni di sfruttamento. Stiamo riscontrando una preoccupante crescita dei lavoratori che non hanno buste paga regolari o raccontano di essere stati arruolati da sedicenti faccendieri per lavorare nelle campagne». Per contrastare il fenomeno il prefetto di Padova, Raffaele Grassi, ha recentemente disposto la costituzione di una specifica task force. «Abbiamo chiesto – racconta Giosué Mattei, segretario generale Flai Cgil Veneto – di includerci nel tavolo di lavoro perché le province di Padova, Rovigo, Treviso e Verona sono le più interessate dal lavoro nero. Attraverso il supporto delle istituzioni e delle imprese del settore produttivo cerchiamo di arginare il fenomeno mettendo in campo delle contromisure che rendano trasparente il mercato del lavoro». Nei nostri territori le aziende agricole autoctone per scaricare i costi della manodopera utilizzano in gran parte cooperative spurie senza terra che fanno da “caporali” offrendo servizi a bassissimo costo, grazie all’utilizzo di manodopera in nero, della non applicazione delle tabelle retributive dei contratti collettivi e dell’omissione totale o parziale della contribuzione previdenziale e delle imposte all’erario. La manodopera arruolata da queste cooperative è in gran parte composta da richiedenti asilo. Il caporale per assoggettare i braccianti approfitta delle loro condizioni di non conoscenza della lingua italiana, della fragilità sociale, economica  e giuridica per il rilascio di un permesso di soggiorno e del fatto che sono nuclei di lavoratori della sua stessa etnia in condizione di bisogno.

Dal quinto rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto, nato nel 2012 con il compito di indagare l’intreccio tra la filiera agroalimentare e la criminalità organizzata, emerge come nel biennio 2018- 2020 su 260 procedimenti in applicazione della legge 199/2016 più della metà (ben 143) non riguardano il Sud Italia. Al Nord, il Veneto e la Lombardia sono le regioni che hanno più procedimenti. L’Osservatorio stima in più di 5.300 lavoratori irregolari accertati in occasione delle verifiche ispettive effettuate dagli ispettori dell’Inail e dai carabinieri del Comando tutela lavoro nel 2019. Di questi il 5,7 per cento è stato individuato in aziende con codice Ateco “Agricoltura, silvicoltura e pesca”. Dal rapporto emerge, inoltre, che nella nostra regione su un totale di oltre 26 mila lavoratori stranieri (Ue e non) impiegati in agricoltura per attività produttiva, circa 3 mila sono da considerarsi vulnerabili: hanno un contratto informale (11,3 per cento) o la retribuzione non è conforme agli standard previsti (9,3 per cento). Tra quanti appaiono maggiormente penalizzati ci sono gli occupati provenienti dai Paesi comunitari, anche perché numericamente maggiori (essendo il doppio dei non comunitari: il 16,2 per cento a fronte dell’8,2 per cento). Al contrario, l’una e l’altra componente di lavoratori stranieri registrano lo stesso tasso di informalità contrattuale. Infine, l’Osservatorio stima in 3,3 miliardi di euro il valore della produzione nel settore agricolo veneto (il 2 per cento dell’intero Pil). Ma secondo Flai Cgil il valore dell’economia “non osservata” (cioè la sommatoria dell’economia sommersa con quella riconducibile alle attività come lo sfruttamento lavorativo e lavoro irregolare) ammonta a quasi 17 miliardi di euro (l’equivalente dell’11 per cento dell’intero Pil regionale). La cosiddetta legge sul caporalato inasprisce le pene per chi commette questo genere di reato con reclusione da uno a sei anni, aumentabile fino a otto anni se c’è violenza o minaccia e una multa da 500 a mille euro per ciascun lavoratore reclutato. Ma per Mattei si può fare ancora di più: «Attraverso le prefetture stiamo chiedendo che la legge 199 del 2016 sia applicata non solo per la repressione ma anche per la prevenzione del fenomeno. Ancora oggi, per esempio, c’è una risposta tiepida per quanto riguarda l’attivazione delle sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità, che invece era e resta il cuore del provvedimento e che consente di avere una lista di aziende sane, che si distinguono per il rispetto delle norme in materia di lavoro, legislazione sociale e imposte sui redditi». (R.C)

Il caporalato è una “spia” delle mafie

Il ruolo della criminalità organizzata nello sfruttamento lavorativo in agricoltura veneta ha un caso specifico: quello della cooperativa veronese New Labor gestita da Gaetano Pasetto assieme al commercialista crotonese Leonardo Villirillo, a sua volta presente nell’inchiesta “Aemilia” sulla ’ndrangheta cutrese nel Nord Italia. La New Labor era una cooperativa di intermediazione di manodopera che, forniva squadre di braccianti per diverse aziende agricole veronesi non coinvolte nell’inchiesta.

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