Ad aprile 2025, più di 6,9 milioni di ucraini rimangono sfollati a causa dell’aggressione russa contro l’Ucraina. Ciò significa che una famiglia ucraina su otto è stata costretta a lasciare la propria terra natale in cerca di sicurezza. La maggior parte di loro – 6,3 milioni – ha trovato rifugio nei Paesi europei. E’ quanto emerge da un Rapporto sulla situazione delle famiglie in guerra in Ucraina che è stato presentato al Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina (in corso in questi giorni a Roma), da Yuriy Pidlisnyi, vicepresidente della Commissione patriarcale per gli affari familiari e dei laici dell’Ugcc. Dal rapporto, emerge che il 90% dei rifugiati ucraini sono donne e bambini. Gli uomini rimangono per difendere la patria o non possono andarsene a causa delle restrizioni dovute alla mobilitazione.
Le comunità ucraine più grandi che si sono formate fuori dell’Ucraina a seguito dell’aggressione russa su vasta scala, si trovano in Germania (1,18 milioni), Polonia (995 mila), Repubblica Ceca (398 mila), Gran Bretagna (più di 200 mila) e Stati Uniti (170 mila).
Particolarmente dolorosa è la questione delle intenzioni dei rifugiati di tornare. Se all’inizio della guerra due terzi dei rifugiati ucraini speravano di tornare a casa in fretta, oggi la situazione è cambiata e un quarto dei rifugiati ucraini sta valutando la possibilità di stabilirsi definitivamente all’estero. E se fra i principali motivi per cui gli ucraini all’estero vogliono tornare, ci sono motivazioni come il ricongiungimento familiare (56%), il ripristino della vita normale (56%) e il desiderio di partecipare alla ricostruzione dell’Ucraina (47%), in realtà solo il 12% è già tornato.
Maria Trakalo, psicologa e co-fondatrice del “Mental Health Hub”, ha raccontato ai vescovi quanto profondamente la guerra penetri nella vita interna delle famiglie ucraine, indipendentemente dal fatto che si trovino al fronte, nelle retrovie, in stato evacuazione o all’estero. Particolarmente provate sono le famiglie che hanno un familiare impegnato sul fronte perché si trovano in uno stato di costante “mobilitazione emotiva”: vivono in attesa di chiamate dal fronte, spesso devono provvedere da sole ai loro familiari sul fronte e si sentono abbandonate. Purtroppo, anche il ritorno di un soldato a casa genera nella famiglia “uno stato di profondo stress psicologico”. “Dopo essere tornato dal fronte, un veterano cambia: questo crea nuove sfide nella comunicazione, nei ruoli familiari e nelle abitudini quotidiane”. C’è infine il dolore per l’esperienza della perdita.
“Dopo una perdita, le persone hanno bisogno di ritrovare un nuovo formato di vita, a volte una nuova identità, preservando la memoria del defunto”.
Secondo i risultati di uno studio condotto nel dicembre 2024 – gennaio 2025, l’83% degli ucraini sperimenta un alto livello di stress e il 78% lo attribuisce direttamente alla guerra. “C’è un aumento significativo del bisogno di supporto psicologico, dal 41% al 71%” e “c’è una grave carenza di specialisti qualificati per fornire un’assistenza completa alla popolazione. La situazione è molto peggiore al di fuori delle grandi città”.
E’ il vescovo Arkadij Trokhanovskij a sintetizzare sfide e necessità. L’aggressione armata ha distrutto non solo un paese ma ha minato i contatti e le relazioni personali, comprese quelle familiari”. Tra i problemi specifici: le donne con figli senza padre o marito; gli uomini al fronte, privi di relazioni familiari; le famiglie che hanno perso parenti o sono separate a seguito dello sfollamento all’estero; la questione dell’assimilazione dei bambini ucraini in terra straniera. Si aggiunge una crisi demografica con cui l’Ucraina dovrà fare presto i conti. “Secondo i dati della prima metà del 2024 – ha sottolineato il vescovo – ci sono stati 286 decessi ogni 100 nascite, mentre nel 2023 ci sono stati 265 decessi ogni 100 nascite in Ucraina”.
“L’Ucraina sta entrando in una fase critica di declino demografico e risolvere questo problema dovrebbe diventare una priorità nazionale”.
Emerge chiaro che la Chiesa in Ucraina ha scelto di rimanere a fianco della famiglia “ferita” e sta mettendo in atto varie iniziative per sostenerla. Il rettore del Seminario teologico di Leopoli p. Ihor Boyko che al Sinodo ha presentato una relazione su come “Accompagnare le famiglie in lutto”, ha detto: “I gruppi di mutuo soccorso sono un luogo in cui le famiglie ferite dal dolore della perdita possono sfogare le loro anime, piangere. Sono luoghi dove è possibile incontrare persone vicine che capiscono e accolgono perché tutti hanno vissuto la stessa esperienza di dolore e perdita”.
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“E’ un’università del dolore, da cui si può imparare molto. Non solo una ‘miniera’ per le ferite, ma un luogo in cui stare per generare speranza”.