Chiesa
(Tokyo) “L’Ordine di Sant’Agostino, a cui appartiene Papa Leone XIV, conta 11 fratelli attivi in Giappone,” spiegava Padre Futoshi Matsuo, responsabile degli agostiniani nel Paese del Sol Levante, in un’intervista rilasciata in occasione dell’elezione del nuovo Pontefice a CJ-news Japan, l’organo di stampa ufficiale online della Chiesa Cattolica nipponica. Aggiungeva: “I confratelli vivono nei conventi di Nagasaki, Fukuoka, Nagoya e Tokyo, dove si dedicano alla pastorale parrocchiale, all’educazione scolastica e a servizi sociali.”
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La storia della missione agostiniana in Giappone è profondamente segnata dal martirio e affonda le sue radici nelle Filippine, dove i primi missionari, giunti dal Messico nel 1565, furono inviati in tutta l’Asia. Si stabilirono a Cebu, città della venerata immagine del Santo Niño, la cui basilica è tutt’oggi custodita dall’Ordine.
Singoli missionari o piccoli gruppi di seguaci del santo di Ippona giunsero in Giappone già alla fine del XVI secolo, ma le fonti ufficiali datano al 1602 l’inizio di una presenza stabile. I religiosi arrivarono in un periodo in cui il cristianesimo si stava diffondendo grazie a San Francesco Saverio, sbarcato nel 1549, e ai gesuiti, cui gli agostiniani offrirono sostegno nella loro successiva opera di evangelizzazione, a Kyushu, in particolare a Nagasaki e Omura.
Nella ‘Breve storia dei martiri Agostiniani in Giappone i Padri Thomas Masaki Imada e Futoshi Matsuo raccontano gli inizi con l’arrivo di due frati spagnoli da Manila, Diego de Guevara ed Eustaquio Ortiz, che, con il permesso dello Shogun, avviarono ufficialmente la missione. Nel 1605 si unì Padre Hernando de Ayala, che si trasferì a Nagasaki, “il principale porto del Paese per il commercio con Portogallo, Spagna e Cina.” Fu lui il primo a puntare su Nagasaki e dopo un periodo a Bungo e Hyuga, oggi Oita e Miyazaki, Padre Hernando fondò lì un convento e una parrocchia sotto la protezione di Sant’Agostino nel 1612, introducendo la Confraternita della Cintura e il Terz’Ordine.
Nel 1614, con il decreto che vietava il cristianesimo, la chiesa appena edificata fu demolita e iniziò un lungo periodo di persecuzioni. Padre Hernando, entrato nella clandestinità ne uscì vedendo che i fedeli che serviva venivano martirizzati. Fu catturato e decapitato il 1° giugno 1617 su un’isola a nord di Nagasaki, diventando il primo martire agostiniano del Giappone. Gli ultimi furono invece martirizzati nel 1637 sulla collina di Nishizaka: Padre Tommaso “Kintsuba” Jihyoe di Sant’Agostino e Padre Michele di San Giuseppe, entrambi giapponesi.
“Durante i 35 anni di evangelizzazione (1602–1637), 24 frati, 57 membri del Terz’Ordine e 47 della Confraternita della Cintura versarono il loro sangue per la fede,” scrive Padre Thomas Masaki Imada nel saggio ‘Gli incontri iniziali dell’Ordine con il Giappone e le Missioni del XVII secolo’.
Alcuni sono già stati beatificati, ma il numero dei martiri potrebbe essere ben più alto, considerando i “senza nome”, come i 637 giustiziati nel 1636 a Nagasaki.
Il 1952 segna il ritorno degli agostiniani in Giappone: tre religiosi giunsero a Nagasaki, dove, dopo quattro anni, costruirono un asilo, una chiesa dedicata a Nostra Madre della Consolazione e una scuola elementare, seguita nel 1960 da un edificio per la scuola secondaria. Ancora oggi, sebbene numericamente contenuta, la comunità agostiniana in Giappone è viva, operante e ben integrata nel tessuto ecclesiale e sociale.
Padre Matsuo, in un’intervista del 2022, descriveva così le caratteristiche del religioso agostiniano nel Giappone contemporaneo: “Dobbiamo vedere l’unicità di questo tempo, vedere l’altro con umiltà, come ci ricorda Papa Francesco. Dobbiamo stare con gli ultimi, con coloro che soffrono, essere abbastanza umili da amare ogni persona in ogni contesto. Qui sta la sfida, ma anche la possibilità di estendere la comunità di Dio, vedendo la nostra debolezza e la debolezza dell’altro; il nostro peccato e il peccato dell’altro ed abbracciarlo.”