Mosaico
Sarà perché viviamo tempi difficili e scollegati dalla realtà, che l’arte torna a essere veicolo di pacificazione tra noi e il resto del mondo. Operazione che riesce benissimo a una dei maestri italiani – e mondiali – dell’arte di fine Ottocento: quella di Giovanni Segantini. A lui e alla sua stilosa produzione pittorica, è dedicata la mostra “Giovanni Segantini”, aperta dal 25 ottobre al 22 febbraio prossimo a Bassano.
Nelle due grandi sale del museo, un centinaio di opere: molte quelle del maestro chiamate a dialogare con nomi emblematici dell’impressionismo, espressionismo, puntinismo e soprattutto, il divisionismo di quel fecondo momento artistico. Tutto in spazi che stentano a contenere idee ed emozioni per delle opere che si mostrano come un viaggio nell’anima dell’artista trentino come in quella del visitatore rapito dai suoi distinguibili paesaggi e colori. A tanto aspira a ragione la mostra bassanese che si presenta come una delle esposizioni più complete dall’ultima grande esposizione segantiniana di dieci anni fa. Da allora un “vuoto”, anche se per Segantini non si può parlare di “spazio vuoto”, ma di “spazi pieni di silenzi e vuoti”. Questo lo si respira fin dalla visione delle primissime opere giunte a Bassano dai due più grandi musei tematici: la Galleria Civica G.Segantini di Arco (Tr) e il Segantini Museum di St.Moritz, insieme a prestiti privati.
Opere celebrate, insieme a quadri minori, che rappresentano il panorama geo-spirituale in cui si muove e si sviluppa il pensiero di Segantini. Un rapporto strisciante e intrigante con la “Mater Terra”, che risente di quell’intimo e doloroso riflesso personale per la prematura scomparsa della madre prima e del padre poi, che ha fatto diventare Segantini infante orfano a soli sei anni di età: «Così solo – scriverà lui – senza amore, da tutti abbandonato come un can rabbioso!». Tanto da ritrovarlo un decennio dopo, come senza fissa dimora per le vie di Milano dopo aver disertato il servizio militare all’Impero austroungarico, trasformandosi in apolide. Un Giovanni Segantini dall’infinita dolcezza, ma anche dall’indomita volontà rivoluzionaria, come si vedrà poi nell’utilizzo dei suoi colori. Un autore che ha la capacità ungarettiana nel segno, nel pennello come nei pensieri dei suoi scritti. Un eloquente esempio lo troviamo in una lettera in cui scrive: «Noi siamo l’ultima luce di un tramonto, e saremo, dopo una lunga notte, l’aurora dell’avvenire». In questa sintesi, c’è tutto il segreto della sua pittura.
Troviamo il tempo onnipresente e fugace dei ritratti giovanili, tra questi il sublime ritratto della moglie Bice cristallizzato nella tela, tutti raccolti in apertura della mostra sapientemente curata da Niccolò D’Agati cui il Comune e Musei Civici di Bassano si sono affidati. Le nature morte degli anni Ottanta del 19° secolo, con l’imponente “Oca appesa” o “Camoscio morto”, compresi alcuni interni ripresi nel Duomo di Monza o chiesa di Sant’Antonio in Milano. Monumentale invece è la tela tributo che Segantini fa al Cristo morto (che lui chiama qui “Eroe morto”) del Mantegna di Milano. Fino a ritrovare un Segantini sempre più pregno delle atmosfere impressioniste che giungono dalla Francia di quegli anni, che s’impone nella sua “maniera” di dipingere. Qui c’è la svolta temporale dell’artista trentino, con un Segantini intimamente spiritualmente laico e umanamente romantico. Si giunge così nella sezione delle “pastorali” dove le grandi madri primitive diventano forme e colori segantini ani. Come un arcaico pittore delle grotte, Segantini qui ritrae, immortala, ferma il tempo sulla superficie non di una grotta ma di una tela: ma con il medesimo sentimento di meraviglia. Madri e ancora madri. Quadri su quadri. Disegni su disegni. Uomini e animali (pecore e vacche nello specifico), posti come contraltare, quasi a interrogare chi si pone davanti all’immagine. L’eterno rapporto tra noi e il resto del mondo, come del tempo stesso, trova in Segantini quello che fa l’altrettanto celebre pittore tedesco Gaspar David Friedrich nel mondo teutonico, dieci anni prima della sua nascita.
Tela dopo tela, a Bassano si entra in una dimensione agropastorale di cui ci sentiamo orfani e nostalgici. È qui che arriva la lezione “didattica” di Segantini alla gente d’oggi: la tenerezza del tempo materno che accosta la natura umana a quella animale, negli anni in cui in Inghilterra si stavano affermando le teorie di Charles Darwin in termini di scienza evolutiva. Questo Giovanni Segantini non lo manifesta in maniera palese, ma lo lascia filtrare inconsciamente in quella sua luce divisa da sottili tratti di colore che contribuiranno a far maturare la corrente dei “divisionisti” di cui diventerà tra i massimi rappresentanti europei. I titoli stessi delle sue opere sono capolavori di sintesi: “Bacio alla croce, “Culla vuota”, “Babbo è morto”, “Effetto luna”, “Ave Maria a trasbordo”, “Ritorno dal bosco”, fino al titolo onnicomprensivo delle “Due madri” che è uno dei pilastri su cui l’autore gravita per tutta la sua produzione. Che fu limitata nel tempo, visto che morirà davanti a una tela ad appena 41 anni, per peritonite. Prima però di questa sua prematura dipartita, Segantini avrà tutto il tempo per fissare su tela quel “tempo breve” che lui si trova a vivere. Il suo è un rirorno ai monti, su quelle Alpi da cui è disceso, per poi ritornarvi da maestro maturo. Quella sua grande tela del 1884 intitolata “Dopo il temporale” del 1884 apre quel ciclo di opere dove il suo “paesare” si allarga, pur rimanendo in quel cerchio ristretto delle ore che portano al crepuscolo.
Le montagne sono il soggetto prediletto, ma il suo è un’anabasi anche quando due anni dopo ritrae l’opera iconica della mostra “Ave Maria a strabordo” che risente molto dello stile dettato da Jean-Francos Millet. È il tempo del “divisionismo” che poi passa dal tratto di matita su carta, alle pennellate nette e divise con colori primari sulla tela. Qui la mostra diventa una retrospettiva, dove una serie di disegni di Vincent Vang Gogh, Matthiijs Maris, Jean-Francois Millet sulla figura del seminatore, esternano la via incontrovertibile presa da Segantini, che lascia al visitatore quel senso di intima estasi, orante e nostalgica per un tempo sfuggevole, ben riassunto nell’opera “Ritorno al bosco” o “All’ovile”. Quadri che una volta visti dal vero, diventano immortali nella mente di chi in tempi moderni cerca serenità e pace. Da questo nasce l’affermazione “memorabile” che si è guadagnata la mostra di Bassano.













