Innalzare il livello della prevenzione antimafia nei settori turistico-alberghiero e della ristorazione: è questo l’obiettivo del protocollo d’intesa firmato lo scorso 5 giugno dalla Prefettura insieme ai Comuni di Padova, Abano e Montegrotto Terme. Un documento che il sindaco di Montegrotto, Riccardo Mortandello, ha definito «un’arma strategica fondamentale per proteggere l’integrità del nostro prezioso tessuto economico e sociale», evidenziando da un lato l’importanza dello strumento e dall’altro quanto concreto sia il rischio che il comparto turistico sia la porta d’ingresso attraverso cui la criminalità tenta di infiltrarsi nell’economia sana. «Il turismo è un settore privilegiato dagli imprenditori mafiosi – spiega Gianni Belloni, ricercatore di Lies, il Laboratorio dell’inchiesta economica e sociale – perché il tipo di esercizi commerciali che prosperano grazie al turismo, pensiamo ai bar, ai ristoranti, gli hotel e le discoteche sono attività a elevato utilizzo di contante con presenza prevalente di imprese di dimensioni piccole e medie in cui possono essere presenti varie forme di economia sommersa. Queste caratteristiche, insieme alle ridotte barriere d’entrata del settore sono elementi di vulnerabilità di cui i mafiosi approfittano per avviare attività imprenditoriali e riciclare denaro. Inoltre è un settore che utilizza manodopera a bassa qualificazione e la gestione della manodopera è anch’essa un settore prediletto dagli imprenditori mafiosi». Grazie al protocollo, i firmatari potranno rafforzare la prevenzione antimafia nei procedimenti amministrativi gestiti dagli Sportelli unici per le attività produttive dei Comuni. In particolare, sarà possibile richiedere il rilascio di una comunicazione antimafia liberatoria per tutte le imprese private attive nei settori turistico-alberghiero e della ristorazione, quando soggette a regime autorizzatorio o a segnalazione certificata di inizio attività. La misura potrà essere applicata nei casi in cui le imprese presentino indicatori di rischio di infiltrazione mafiosa, individuati dall’osservatorio provinciale. «La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie, già nel 1994 – ricorda Belloni – menzionava Abano e Venezia, sottolineando il particolare interesse della criminalità organizzata per il settore alberghiero. Ricordiamo inoltre che, proprio in quegli anni, ad Abano i fratelli Graviano, boss di Brancaccio, erano ospiti di un imprenditore palermitano che aveva trasferito diverse sue attività nel Padovano. Questo lascia intendere che potremmo trovarci di fronte a una stratificazione di operatività mafiosa radicata nel tempo in quella zona». Appare senz’altro apprezzabile la firma di un protocollo per ridurre il rischio che la criminalità si integri nell’economia legale, tuttavia, sottolinea Belloni «il pericolo è che si crei un aggravio degli adempimenti burocratici non compensato da risultati realmente efficaci». Per questo, aggiunge il ricercatore Lies, «tali strumenti dovrebbero essere accompagnati dalla promozione di incentivi, assieme ai sindacati e alle associazioni imprenditoriali, che rendano socialmente apprezzata, non solo il non avere a che fare con l’imprenditoria mafiosa e predatoria in genere, ma anche la promozione di un’identità e una prassi concreta del fare impresa fondata sul rispetto dei diritti dei lavoratori, dell’ambiente e della legislazione fiscale e, più in generale, sulla responsabilità nei confronti del territorio. Caratteristiche alle quali le mafie sono strutturalmente allergiche».
L’Osservatorio provinciale, costituitosi in occasione della firma del protocollo, si avvarrà anche di un algoritmo realizzato dall’Università di Padova che è in grado di processare molteplici dati, ricavando dagli indicatori contabili un indice di rischio infiltrativo degli operatori economici. Gianni Belloni: «Dobbiamo tenere presente la difficoltà a riconoscere le mafie, soprattutto in aree di non tradizionale presenza, dovuta alla complessità del fenomeno e al suo differenziarsi a seconda dei contesti».