Idee
Un evento giubilare dedicato a promuovere i valori fondamentali ed i principi di giustizia, misericordia e pace, con momenti di preghiera, riflessione e dialogo, volti ad approfondire la comprensione della giustizia da una prospettiva di fede. È il Giubileo degli operatori di giustizia che si celebra a Roma sabato 20 settembre. Abbiamo raccolto, per l’occasione, la testimonianza di Damiano Nocilla, presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci).
Presidente, la Chiesa celebra il Giubileo degli operatori di giustizia: cosa significa essere un giurista cattolico oggi?
Cosa significa essere giurista cattolico è una domanda che si è posta nel momento stesso della costituzione della nostra Unione, nel 1948. Anche perché non è mancato da parte di taluno l’avanzare il sospetto che la nostra fosse, come si disse, una istituzione di battaglia, una formazione di battaglia, che fosse contro qualcuno, contro qualche pericolo. In realtà, a questi dubbi rispose benissimo uno dei nostri soci fondatori, che è stato un grande filosofo del diritto, Giuseppe Capograssi, il quale rilevò chel’uomo ha cominciato ad osservare certi principi per uscire dallo stato belluino, dallo stato ferino e indirizzarsi a vivere una vita in senso umano.Questi principi sono i principi costitutivi del diritto: man mano che si progredisce nell’attuazione di questi principi, la vita dell’uomo diventa sempre più umana. Vede, noi cristiani crediamo in questi principi per fede, ma una larga parte del mondo laico vi aderisce perché ha la sensazione, se non la convinzione, che solo aderendo a quei principi si assicura al diritto l’ancoraggio all’etica sociale e si giustifica l’osservanza del diritto positivo. Con tutti questi laici il dialogo è aperto.
Quali sono le maggiori difficoltà per un giurista cattolico di portare i propri valori nel mondo di oggi?
Occorre riflettere su cosa giustifichi oggi la vita di un’associazione di giuristi cattolici in un mondo largamente secolarizzato, in cui si è diffusa una certa ostilità verso il trascendente, si affermano concezioni che vedono ridursi la libertà in sfrenato soggettivismo, refrattarie a qualsiasi vincolo di ordine etico alle proprie pulsioni, e che nello stesso tempo, dimenticando che non esiste libertà ed eguaglianza formale fra gli uomini, senza una sufficiente eguaglianza sostanziale, annegano la fraternità nella cultura dello scarto e dell’utilità economica. Del resto, nel mondo contemporaneo, il progresso tecnologico sta instillando negli uomini una forte tentazione prometeica che finisce per essere autodistruttiva. La riduzione del diritto all’economia, propria di tutte le concezioni per le quali ius quia iussum e non ius quia iustum, tende a far perdere agli uomini il senso della giustizia. In questa drammatica situazione, i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti, si ripensi con quanta incoscienza ci si stia dietro all’esaltazione scientista della cosiddetta intelligenza artificiale.
Gioca e deve giocare un ruolo essenziale nell’operare del giurista, sia esso scienziato, avvocato, giudice, legislatore, solo la diffusione e l’osservanza di quei principi, che collegano al diritto il carattere umano e che legano il diritto positivo all’etica e all’idea di giustizia.
Come Ugci, a latere del Giubileo degli operatori della giustizia, promuovete il colloquio internazionale “Pace e giustizia fra le nazioni: ordine giuridico e ordine morale”. Quale obiettivo vi ponete con questo incontro?
Il fatto è che l’odierna crisi non investe soltanto i singoli ordinamenti statali, i giuristi di questo si sono in varie occasioni occupati, ma ha investito ormai lo stesso ordinamento internazionale che proprio per l’assenza di un’autorità che detenga il monopolio della forza necessita che certi principi che ne sono alla base si appoggino su un’etica condivisa dagli stessi popoli le cui autorità governanti operano sullo scacchiere mondiale. Si tratta di principi a forte contenuto etico che possono anche dirsi espressione di uno spirito religioso. Come si è visto,nell’attuale situazione in cui quella guerra mondiale a pezzi di cui parlava Papa Francesco rischia in ogni momento di trasformarsi in una conflagrazione planetaria in cui lo stesso genere umano metterebbe a rischio la propria sopravvivenza, come giuristi e in particolare come giuristi cattolici abbiamo l’esigenza di capire e approfondire le ragioni della crisi, le occasioni che ne hanno provocato l’esplosione, gli arcani imperi che si intravedono dietro le mosse dei protagonisti, quali sarebbero le eventuali strade da percorrere per venire fuori dalla crisi e realizzare le condizioni per una pace giusta e duratura nella quale i diversi interessi possano trovare adeguato bilanciamento.Ecco perché non ci siamo limitati a prevedere un dibattito tra giuristi, ma abbiamo voluto ascoltare le valutazioni di diplomatici che a lungo hanno avuto occasione di confrontarsi con i problemi della geopolitica. Crediamo così di poter dare un modesto contributo alla ricerca degli strumenti più adeguati perché le frizioni che hanno fatto esplodere i conflitti in corso non si ripropongano. Le democrazie dell’Europa occidentale devono ormai rendersi conto che quello che era stato l’asse portante della loro politica internazionale e il modello di riferimento della loro politica istituzionale, economica e sociale è venuto ormai meno, avendo imboccato una deriva che rischia di trascinare con sé tutto il resto dell’Occidente democratico e soprattutto quella cultura dell’umanità e della vita umana che lo ha sinora caratterizzato.
Sappiamo che senza giustizia non si può avere la pace: quali sono le sfide maggiori oggi per raggiungere una giustizia reale e una pace giusta?
La prima sfida è quella di rivivere i rapporti fra i popoli in spirito di fraternità.
Non si può continuare a credere che tutti i popoli e tutte le popolazioni si accontentino della sola eguaglianza formale. Le popolazioni hanno bisogno di sentire anche la possibilità di un riscatto economico, di un’eguaglianza che comincia a diventare sostanziale. Non si può continuare a non vedere che intere popolazioni sono sotto il gioco economico di altri popoli più ricchi e più evoluti. Questo non è più possibile. Il mondo comincia a non sopportarlo più. Quindi occorre assolutamente che i popoli più evoluti, i popoli più ricchi, i popoli che hanno maggiori possibilità, tendano la mano alle popolazioni più sfortunate. Insomma, noi abbiamo dei popoli che vivono su territori ricchi di risorse naturali, ma vivono in condizioni di assoluta povertà. Questo non è possibile, perché le loro risorse vengono sfruttate dal grande capitale, dalla mobilità del capitale, dall’egoismo proprietario. Penso alla situazione della Nigeria, dove c’è un conflitto in atto, finalizzato all’uso delle risorse petrolifere e dove la popolazione è costretta ad emigrare per poter sopravvivere o vivere. Avevamo sperato molto nella globalizzazione economica come vettore di una globalizzazione dei diritti, di un maggiore avvicinamento fra i popoli, ma così non è stato. Il grosso capitale non ha nessuna sensibilità per i diritti o per l’eguaglianza sostanziale, per non parlare poi dei guai combinati dalla sostituzione dell’economia della produzione con l’economia finanziaria.
Mi piace richiamare l’universalità del messaggio cristiano, che si basa sul fermo proposito di garantire la dignità di ogni persona, anche la più fragile e la più debole,
che ci invita a realizzare in questa terra una vita veramente umana nella quale cessi ogni tentazione di far ricorso a livello di istituti giuridici a forme di regolamentazione della vita sociale che giuridicizzino gli istinti ferini dell’uomo: si pensi alla legge del taglione, all’idea della legittima rappresaglia fra individui e Stati, alla tortura, alle diverse forme di schiavitù legalizzata e così via. L’universalità del messaggio cristiano costituisce una buona base perché la pericolosità dell’odierna situazione geopolitica costituisca un’occasione propizia per compiere un ulteriore balzo in avanti verso la realizzazione di una pace perpetua fra gli uomini.
Cosa ci può raccontare della sua esperienza al servizio dello Stato, come segretario generale del Senato e capo dell’Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio?
Ho sempre detto alle persone con cui ho lavorato, alcuni dei quali secondo me veri e propri giganti della politica, che io collaboravo con loro in indipendenza di pensiero, che avrei sempre detto lealmente qual era la mia opinione e che nell’ipotesi in cui le loro scelte avessero contrastato con la mia coscienza di cristiano, in quell’ipotesi avrei messo loro a disposizione l’incarico che mi davano. Ho collaborato con Amintore Fanfani, con cui ho avuto un rapporto di particolare vicinanza; con Giovanni Spadolini, che ha avuto nei miei confronti più di una manifestazione di stima e di considerazione; con Tommaso Morlino, uomo dall’intelligenza e dall’intuito eccezionali.
La nostra Costituzione è ricca di valori fondamentali, che se fossero vissuti appieno renderebbe davvero la società italiana più giusta: secondo lei, oggi il grande patrimonio della nostra Costituzione ancora feconda la nostra società?
Diceva il mio maestro di Diritto costituzionale che le Costituzioni camminano sulle gambe degli uomini. Quel grande patrimonio che è la nostra Costituzione è stato negli ultimi tempi dilapidato, seguendo le mode, le parole d’ordine del momento, la governabilità e dimenticandosi altre parole d’ordine, la necessità che nelle istituzioni confluiscano tutti gli interessi settoriali, politici e così via; quindi, la necessità che ci sia un contemperamento fra la rappresentatività delle istituzioni e l’istanza della governabilità. A quanta rappresentatività siamo disposti a rinunciare in nome della governabilità? Tutte le Costituzioni sono un delicato equilibrio fra queste due istanze. L’istanza rappresentativa è quella che porta a far pervenire nelle sedi decidenti tutti gli interessi e a far considerare dalle sedi in cui si decide tutti gli interessi che si dibattono in una società, religiosi, politici, sociali. L’istanza plebiscitaria è quella che porta alla scelta di chi ci dovrà governare e in qualche modo ci indica verso quale indirizzo noi vogliamo andare.
Una vera democrazia vive anche della cosiddetta divisione dei poteri. Oggi si tende a vedere nella divisione dei poteri l’istituto che impedisce la governabilità ma in realtà non è così.
Sono convinto che i meccanismi previsti dalla nostra Costituzione non hanno bisogno di essere cambiati. Per rendere più facile la governabilità bisogna attuare una amministrazione più leggera, più agile, più capace di coagulare gli interessi e trovare la quadra fra i vari interessi. Andava attuata la riforma amministrativa, la semplificazione normativa, mentre sono ancora lontanissime dall’essere attuate. Occorrerebbe dare alla macchina dello Stato, che è poi la macchina amministrativa, una sua efficienza, dare alla legislazione una sua chiarezza, una sua intrinseca razionalità.