Due amici, una pulka (la tipica slitta scandinava), due zaini, gli sci d’alpinismo, cibo per un’autonomia di alcuni giorni e il desiderio sfrenato di incontrare la natura, quella più selvaggia, indomita e straordinariamente affascinante, quasi da togliere il fiato. Sono queste le coordinate che hanno contraddistinto la spedizione, compiuta tra il 22 e il 26 marzo scorsi, di Riccardo Benetti e Giacomo Troisi tra la Finlandia, la Svezia e la Norvegia, oltre il Circolo polare artico. «Il viaggio – raccontano i due giovani – è stato un misto di emozioni, pensieri, paesaggi unici e sollecitazioni legate a un ambiente estremo. A spingerci in quelle latitudini è stata la curiosità, il desiderio di esplorare nuove terre, circondati da un clima spesso avverso, che abbiamo voluto conoscere». I giovani, studiando l’itinerario, hanno saputo che viene percorso durante il periodo estivo, mentre in quello invernale «non abbiamo trovato nessuna testimonianza di qualcuno che lo abbia fatto integralmente».
Riccardo Benetti, classe 1996, è nato ad Arzignano ma vive da sei anni ad Asiago. È un appassionato e studioso di geografia e soprattutto di meteorologia, «sono affascinato dal freddo», che l’ha portato a lavorare in quell’ambito: si occupa di calibrare e tarare le centraline meteorologiche per l’Arpa Veneto. Riccardo tra le altre cose cogestisce il progetto “Siti freddi” dell’associazione Meteotriveneto, per monitorare le temperature più rigide registrate tra il Veneto, il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia (da due anni anche in Abruzzo). Giacomo Troisi è del 1993, originario di Gallio, da diversi anni pratica l’alpinismo in modo assiduo. Sono amici da tempo e dal loro affiatamento è nato il desiderio di andare là dove pochi mettono piede. «I giorni nell’alta Scandinavia – sottolineano compiaciuti i due – sono stati una condivisione di abilità e di aiuto reciproco. Non è stata solo un’avventura; ha avuto anche risvolti scientifici. Abbiamo installato sulla pulka dei sensori meteorologici che ci hanno per così dire consentito di monitorare il “respiro della terra”, protetti da uno schermo solare. Con questi dispositivi abbiamo potuto registrare ogni dieci minuti, la temperatura e l’umidità. I pannelli solari ci hanno garantito l’energia per il salvataggio dei dati e la ricarica del satellitare. Abbiamo assistito a cambiamenti climatici rilevanti: siamo passati da meno 20 a più 10 C°, con un’umidità a volte alta, altre volte bassa. Abbiamo rilevato tanti dati interessanti: ci permetteranno di approfondire le variazioni dell’umidità e della temperatura in zone poco studiate». Tra gli aspetti singolari che hanno constatato in quell’habitat, c’è il limite della vegetazione arborea. «Sull’arco alpino si trova a 1.800, 1.900 metri di altitudine – spiegano – In quelle zone è limitato a 500 metri. Segno che lì il clima è molto freddo: al di sotto di questa quota è sub-artico, ma al di sopra è propriamente artico, caratterizzato dalla Tundra».
Sci ai piedi, occhiali per il riverbero della luce del sole sul ghiaccio e sulla neve, Riccardo e Giacomo hanno avanzato tra laghi ghiacciati, venti a 130 chilometri orari, grandi cumuli di neve, notti in bivacco e lo spettacolo della natura «bellissima e fragile». Partiti dalla località di Kilpisjärvi, situata in Lapponia, nel braccio settentrionale finlandese vicino al punto più a nord-ovest della Finlandia, sono arrivati dopo cinque giorni a Rosta, in Norvegia. Hanno percorso 13 chilometri in Finlandia, 20 in Svezia e 35 in Norvegia, da est verso ovest. A turno o legati insieme, hanno trascinato la pulka che all’inizio del viaggio pesava circa 45 chili, dieci in meno alla fine. Dopo i primi due giorni passati «abbastanza tranquilli con bei panorami e l’assaggio di alcune aurore boreali», il terzo giorno sono giunti a Moskanhytta, in territorio norvegese. «Arrivati a un bivacco siamo stati investiti da una tormenta di neve violentissima, con venti sopra i 100 chilometri orari. Dovevamo liberare l’ingresso della struttura ogni mezz’ora per non rimanere intrappolati. Abbiamo tagliato legna sul tetto del bivacco durante la tempesta; quella interna era troppo umida. La sera il mal tempo ha perso vigore, lasciando il passo a delle schiarite. Abbiamo volto lo sguardo all’insù: c’era la più bella aurora boreale mai vista. Siamo stati sopraffatti dalla meraviglia. Un gioco di colori con sfumature di verde, di viola e di rosso che volteggiavano sopra di noi. Eravamo circondati da un silenzio surreale, tra neve e cielo. È stato un regalo unico, incredibile». Dopo quella parentesi straordinaria la tormenta è ripresa costringendoli a rimanere bloccati nel bivacco fino al giorno successivo. «Dopo due giorni nella piccola stanza, a parte la parentesi indimenticabile, siamo riusciti a uscirne. Siamo stati forti, non è stato per niente facile soprattutto dal punto di vista mentale». Il quinto giorno hanno fatto il tragitto da Moskanhytta a Rosta, avanzando con fatica sulla neve fresca. «L’ultima tappa è stata massacrante: ci siamo imbattuti in diversi cornicioni provocati dal vento, simili ai crepacci. Erano alti anche 6 metri, a volte invisibili. Abbiamo anche dovuto attraversare un ponte sospeso semi-sommerso dalla neve; abbiamo faticato non poco per passare con la pulka». I due, ricordando quei giorni, dicono di quanto li abbiano colpiti «le bellissime aurore boreali viste nei primi tre giorni, la bellezza dei paesaggi con distese immense che si estendono fino al limite dell’orizzonte». Un altro aspetto singolare è che dopo il terzo giorno non «abbiamo incontrato nessuno, neanche un animale. È stato bello aver condiviso insieme questa avventura dopo tanti anni di amicizia».
Per i giovani intrepidi, l’esperienza scandinava è stata un insegnamento prezioso. Spinti anche in quell’occasione dal desiderio di scoprire, hanno constatato che «la natura ci stupisce, ci sorprende, è il luogo dove sviluppiamo la nostra curiosità, per portare sempre più alla luce il mistero che racchiude. Le giornate vissute ci hanno confermato il fatto che a volte ci si deve arrendere all’ambiente che ci circonda, si deve sottostare alla sua forza. Per noi è stato un adattarsi alle condizioni incontrate. È stato un metterci alla prova fisicamente e psicologicamente. Ci piace arrivare al limite, capire qual è il nostro. Ci attrae trovare soluzioni, districarci nelle difficoltà e riuscire in qualche maniera a venirne fuori, com’è stato per noi in quei giorni. Siamo stati determinati. In quelle situazioni abbiamo testato anche la nostra vicinanza, cercando un equilibrio che abbiamo trovato: se uno era abbattuto, c’era l’altro a sostenerlo. La forza dell’amicizia».
Il progetto Siti freddi è nato nel 2008 per monitorare le temperature più rigide registrate tra il Veneto, il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia (da due anni anche in Abruzzo). Vengono effettuati rilevamenti in luoghi come doline, piane e piccole depressioni. Inoltre vengono studiati i diversi fenomeni fisici che caratterizzano questi siti. Vanta diverse collaborazioni scientifiche, tra cui Arpa Veneto, il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr – Isac), Meteotrentino. Il progetto fa parte dell’associazione Meteotriveneto.