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mercoledì 6 Agosto 2025

Hiroshima e Nagasaki. Ottant’anni fa «un atto disumano»

Andrea Frison

«Dal punto di vista giapponese, lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki fu un atto di terrorismo disumano. In tanti continuano a narrare al mondo la tragedia avvenuta nella speranza che si rinunci ad usare la bomba atomica, ma mi pare che solo i Paesi che non la posseggono si schierino per l’abolizione».

Padre Flavio Besco, missionario saveriano originario di Recoaro, 66 anni, da oltre 40 anni vive a Osaka, in Giappone. Il 6 agosto di ogni anno alle 8.15, da 80 anni, il Paese del sol levante ricorda il primo bombardamento atomico della storia, avvenuto quando il bombardiere statunitense Enola Gay sganciò l’ordigno ribattezzato “Little boy” sulla città di Hiroshima. Il 9 agosto, alle 11.02, l’olocausto nucleare toccò alla città di Nagasaki, con la bomba ribattezzata “Fat man”. Le vittime causate dal solo scoppio della bomba a Hiroshima e Nagasaki furono circa 300 mila.  

Padre Flavio, oggi, dopo 80 anni come è sentito quell’evento tragico dai giapponesi e che significato ha?

«Anche se sono passati 80 anni e i testimoni diretti sono evidentemente in calo numerico, sia il giorno dell’esplosione atomica su Hiroshima, sia quello di Nagasaki, vengono ricordati con celebrazioni solenni alle quali sono invitati anche i rappresentanti di circa 200 nazioni. È l’occasione per parlare di pace, pregare per la pace e ricordarsi che il Giappone ha nella sua costituzione il ripudio della guerra come soluzione dei problemi internazionali. I giapponesi non accettano la spiegazione “americana” che indica il ricorso all’atomica come il male minore per finire una guerra che sembrava non finire più, visto che i giapponesi si facevano massacrare anche quando era chiaro che non avevano nessuna speranza di vincere. Visto dal punto di vista giapponese, lo sgancio delle bombe atomiche su 2 città, fu un atto di terrorismo disumano. Gruppi di cittadini di entrambe le città, ma anche di altri luoghi, continuano a narrare al mondo la tragedia avvenuta nella speranza che il mondo rinunci ad usare la bomba atomica, ma mi pare che solo i paesi che non posseggono la bomba atomica si schierano per l’abolizione di essa. I governi del Giappone stesso non sottoscrivono documenti che chiedono di mettere al bando l’atomica un po’ perché fanno notare che fino a quando i paesi in possesso dell’atomica non si dichiarano contrari all’uso, si tratta solo buone intenzioni senza nessun risultato, un po’ perché il Giappone pur non possedendo l’atomica si trova a godere della protezione dell’ombrello atomico americano e non vorrebbe correre il rischio di perderlo. Anche la chiesa cattolica ricorda il terribile evento istituendo ogni anno ad agosto le “settimana della pace” per riflettere su temi inerenti alla pace e alla giustizia sociale. Tra l’altro nel giorno dell’atomica su Nagasaki, le televisioni giapponesi immancabilmente mandano in onda qualche video della preghiera per la pace che si svolge nelle chiese della città».

Anche in Giappone si parla di riarmo: come è sentito questo tema nell’opinione pubblica?

«Non mi sembra che ci sia molta gente accalorata su questo tema, vista anche la costituzione di cui dicevo sopra. Però i venti di Guerra si fanno sempre più forti e la minaccia vera o presunta della Cina spinge il sentimento popolare verso il riarmo. A questo si aggiunge il fatto che gli Usa spingono il Giappone a spendere di più per le armi, anche per evidenti ragioni economiche, dato che le armi gliele vendono loro».

Lei vive in Giappone da oltre 40 anni, che impatto ha avuto su di lei il mondo nipponico al suo arrivo?

« Il tempo ha assorbito i ricordi e quel mondo che evidentemente mi sarà sembrato parecchio diverso, adesso è diventato un po’ il mio mondo. La cosa più nitida che ricordo è che pur essendo agli inizi di settembre faceva un caldo umido che toglieva il fiato, soprattutto a me, che partendo da Recoaro avevo già addosso i vestiti autunnali. E poi ricordo che mi hanno portato all’ufficio comunale per fare i documenti necessari e siamo arrivati alle 11:55. Ho pensato che ci avrebbero detto di tornare il giorno dopo e invece alle 12:10 avevo i documenti in mano. Efficienza e senso del dovere che mi stupiscono ancora oggi».

Cosa significa essere un missionario cattolico in Giappone? Come si concretizza la presenza della Chiesa cattolica?

«I missionari in Giappone svolgono diverse attività e si è liberi di evangelizzare nei modi che si preferiscono. La maggior parte dei missionari è impegnata però nelle chiese parrocchiali dove, con l’aiuto dei cristiani, si cerca di invitare qualcuno ad unirsi a noi nella fede. Le conversioni però sono ridicolmente poche se paragonate a quelle delle missioni in altri continenti. La chiesa si fa presente anche in opere caritative, ma soprattutto nel campo dell’educazione».

Oggi di cosa si occupa, principalmente?

«Io mi occupo appunto della pastorale nella chiesa parrocchiale e tra parenti di cristiani e gente arrivata alla chiesa con un percorso tutto personale, ogni anno ho la gioia di celebrare uno o due battesimi di adulti. Dal lunedì al venerdì sono invece occupato nella gestione di una scuola dell’infanzia. La chiesa giapponese è una piccola realtà, lo 0,4% della popolazione, e nonostante ciò è abbastanza ben conosciuta grazie alla attività delle numerose scuole. Soprattutto delle scuole dell’infanzia. Per fare un piccolo esempio: nella chiesa parrocchiale dove lavoro io ci sono circa 800 cristiani, e sono sempre gli stessi di 40 anni fa, più o meno. Nella scuola materna ogni anno un centinaio di bambini concludono il percorso e tramite loro vengono a conoscere almeno l’esistenza della chiesa cattolica circa 600 parenti adulti. Non arrivano al battesimo, se non in casi rari, ma ricevono una buona impressione del cattolicesimo».

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