IdeeDiventare genitori non è mai un diritto da pretendere e la famiglia è comunque sempre e già quella costituita dalla coppia di sposi
Siamo ancora sgomenti dal fatto di cronaca accaduto a Cosenza non molti giorni fa. Una donna, dopo aver simulato una gravidanza, è arrivata al punto di rapire una neonata da un ospedale, pur di ottenere quel figlio che era diventato per lei un’ossessione. Al di là dei suoi tristi dettagli, questa vicenda paradossale (che ha visto la colpevole presto scoperta) attiene all’ambito molto più ampio della definizione di maternità e paternità che intendiamo condividere. Dobbiamo ammettere che il pensiero dominante ci induce a pensare che i figli possano in qualche modo appartenerci, essere nostri; nostri come la sublimazione di oggetti di grandissimo valore, ma pur sempre oggetti. C’è una deriva di possesso che bisogna saper contrastare perché quando l’egoismo che può posarsi su ogni relazione si concentra su altre persone che non sono cose, i danni aumentano molto il loro tasso di gravità. Essere gelosi di un bene di consumo, infatti, rende gretti e fa male a chi vive quel legame in modo non sereno, ma quando vi sono di mezzo gli altri, il male procurato non è solo verso se stessi, ma anche verso chi viene strumentalizzato e reso schiavo di quella bramosia. Credere che l’altro ci appartenga limita la libertà altrui, deturpa la sua natura di essere vivente, unico, irripetibile. E questo anche quando si tratta dei figli che, appunto, non sono mai una proprietà privata. In questo contesto è importante ribadire che avere dei figli non può essere considerato un diritto, quanto piuttosto una grande opportunità, potremmo usare con un’accezione del tutto laica anche l’espressione “un dono”. Quando si viola questa soglia e si ritiene che diventare genitori – in particolare genitori biologici – sia una dimensione che si deve poter ottenere a tutti i costi e con ogni mezzo si è già su un crinale pericoloso perché si sottovalutano le conseguenze che il desiderio incontrollato porta con sé. Spesso le aspettative nei confronti di un figlio sono proporzionate agli sforzi che si sono fatti perché egli esistesse, lo si constata spesso con i figli unici di coppie che non sono riuscite o non hanno voluto generare dei fratelli. Del resto conosciamo il vaglio che i Tribunali dei minori e gli assistenti sociali mettono in campo per selezionare famiglie idonee all’adozione. Anche quando si è nella generosa disposizione d’animo di adottare un figlio, il rischio è sempre lo stesso, ritenere che quel bambino o quella bambina siano per noi e non noi per lui. Ma non lo si ripeterà mai abbastanza, mentre ogni persona che nasce ha diritto ad avere un padre e una madre, non ogni famiglia che si forma ha diritto ad avere un figlio. In questo, anche in ambito ecclesiale, bisognerebbe essere più chiari, ribadendo a tutti coloro che si apprestano al matrimonio cristiano che è l’unione stessa dei due coniugi a costituire una nuova famiglia e che tale essa rimarrà sempre, anche se i figli non arrivassero mai. Quando non si ha ben a fuoco questa verità, tutto può sbilanciarsi molto facilmente e lo constatiamo spesso quando all’arrivo dei piccoli, madri e padri perdono il baricentro del loro stare insieme, riducono gli spazi di intimità ed esclusività e talvolta arrivano anche a separazioni e fratture dolorose proprio perché hanno perso di vista l’orizzonte e il senso dell’unione sponsale a vantaggio della dimensione genitoriale che, però, non sussiste in se stessa. È infatti l’amore della coppia che regge e alimenta quello per i figli e viceversa, ma di modo che non si formino compartimenti stagni o circoli viziosi dettati dal soddisfacimento di immediati bisogni di affetto. In una famiglia la tenerezza che tutti desideriamo non può che sgorgare gratuita e non come ricatto o compensazione. Come recita la famosa poesia di Gibran “i vostri figli non sono figli vostri… sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita./Nascono per mezzo di voi, ma non da voi./Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono”.
