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Il cemento continua a ingoiare il Veneto e le sue bellezze
Esiste un capannone ogni 53 veneti, eppure il consumo di suolo non smette senza logiche e ragioni istituzionali
IdeeEsiste un capannone ogni 53 veneti, eppure il consumo di suolo non smette senza logiche e ragioni istituzionali
È possibile che sotto l’albero, quest’anno troveremo un bel capannone sfitto come regalo? Improbabile, ma dall’iperbole alla realtà, c’è da fare i conti con la storia di un Veneto che dagli anni Sessanta a oggi, si trova a districarsi tra il suo miracolo economico che ci ha arricchiti, ma fortemente impoveriti in termini di consumo di suolo. Ce lo dicono i numeri: ci sono infatti 92 mila capannoni industriali, di cui 32 mila soltanto nelle province di Padova e Treviso, che occupano 41.300 ettari di terreno, cioè quasi 60 mila campi da calcio, il 20 per cento di tutto lo spazio edificato nella nostra regione. Di questi, 11 mila sono inutilizzati, cioè vuoti. Lo conferma quella stessa Regione Veneto che ha avviato un censimento per capire quanti siano i capannoni sfitti, che paradossalmente è lo stesso organo che nei decenni ne ha favorito e poco regolamentato il selvaggio sviluppo delle capillari aree industriali per ogni Comune.Parola d’ordine ieri come oggi sembra restare: cemento, cemento e ancora cemento, con il risultato che c’è un capannone ogni 53 veneti. Il ciclopico paragone ce l’abbiamo se lo confrontiamo con i medici di base: uno ogni 1.300 abitanti. Detto fatto: siamo ai vertici delle aree europee più cementificate. Lo sappiamo. Lo scriviamo e ce lo diciamo ormai da tempo, ma l’effetto continua a essere lo stesso: costruiamo ancora. Si sta quindi realizzando, anzi lo è già, la profezia che fu del poeta Andrea Zanzotto che ebbe a definire il tutto come: «Progresso scorsoio». Altro che regione verde a consumo di suolo “zero” , capofila dei prodotti agricoli di qualità, delle bellezze naturalistiche e artistiche. Il Veneto di oggi è un “tavoliere” di cemento che avanza, ma è sempre più disabitato, almeno nei suoi centri produttivi. Cosicché, uno dei grandi limiti che hanno ostacolato lo sfruttamento di questo patrimonio immobiliare, stimato in 3,9 miliardi di euro, è che per i capannoni non esiste un vero e proprio servizio di domanda e offerta. Gli imprenditori che vogliono aprire nuove attività o espandersi hanno sempre trovato più conveniente costruire da zero, su terreni liberi: un po’ perché è effettivamente meno costoso, e in parte perché non è semplice trovare il posto giusto da riqualificare. Assindustria Venetocentro, in sostanza la Confindustria delle province di Padova e Treviso, sta provando a risolvere questo problema con un nuovo servizio chiamato “Capannoni OnOff”. È una sorta di portale immobiliare dove le aziende possono cercare la struttura ideale per dimensioni, valore di mercato, distribuzione degli spazi, distanza da strade o autostrade e una serie di altre caratteristiche, con funzioni simili ai filtri di una piattaforma di annunci di case. È il primo servizio di questo tipo in Italia. Online dallo scorso marzo, finora sembra aver riscosso un buon successo tra gli imprenditori, anche se è presto per fare un bilancio.
L’ultimo intervento della Regione risale al 2017 con la legge “per il contenimento del consumo di suolo” che dà una serie di indirizzi e vincoli ai piani urbanistici dei Comuni. Peccato che finora i risultati si siano visti poco: ecco allora come l’ultimo rapporto dell’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel 2021, abbia indicato il Veneto come la seconda regione italiana (dopo la Lombardia) per consumo di suolo con 684 ettari occupati in un anno e l’11,9 per cento della superficie totale consumata. Con questa legge, la Regione ha assegnato ai Comuni una quantità di suolo consumabile entro il 2050: in totale 9.575 ettari. Il presidente Luca Zaia però si è affrettato a dire: «Il consumo di suolo è ancora elevato, ma è diminuito negli ultimi anni» e ha assicurato che grazie alla legge del 2017 sarà raggiunto l’obiettivo del «consumo di suolo zero, in linea con le direttive europee». Che ciò possa avvenire realmente è il dubbio di molti, anche perché le gru e le ruspe non si fermano e in questo conto non sono state messe le infrastrutture già fatte e da fare (Pedemontana, Tav, Valdastico Sud e forse Nord, grandi caserme), come le superfici per centri commerciali e supermercati in espansione. Questo è e sarà un altro capitolo di questa nostra terra, beatificata dai schei, ma condannata agli inferi per l’ingordigia di suolo, non appena ci accorgeremo che non possiamo mangiarci il cemento e asfalto che abbiamo disseminato.