Idee | Lettera.DIl creato di cui siamo parte ci dona la bellezza per purificare la nostra anima, in un mondo che è specchio della sconsideratezza dell’essere umano
Volute di gas e polveri si intrecciano e curvano su se stesse; globuli scuri di una consistenza misteriosa attendono di accendersi e trasformarsi in fucine nucleari, nascite e morti legate da involucri che si contraggono o si espandono. Sfere frastagliate e scavate dai venti stellari lasciano a nudo un nucleo che per la prima volta si mostra essere un sistema binario, due stelle che fanno della Nebulosa Anello quel balletto irregolare di gas che scappano via danzando a velocità inaudite. E ci vediamo attraverso, scoprendo particolari mai visti prima, torsioni e strutture che tridimensionalizzano immagini prima percepite piatte, sfocate – nemmeno immaginavamo fino a che punto – per quanto di una bellezza incomparabile. Strutture galattiche complesse e interconnesse mostrano le interazioni di ben quattro galassie del Quintetto di Stephan. Addirittura è stato elaborato lo spettro dell’atmosfera di un esopianeta, Wasp-96b, un pianeta gioviano caldo, mettendone in luce la firma distintiva dell’acqua. È stato scritto e detto tutto sulle prime immagini del James Webb space telescope, sulla loro capacità di rivelare particolari sconosciuti, di andare più in profondità di qualsiasi altro telescopio esistente, di riuscire a scandagliare il tempo fino alle galassie primordiali, vicine al Big Bang di qualche centinaio di milioni di anni, pochissimo rispetto ai 13,8 miliardi di vita dell’universo. A confronto con il suo predecessore, il telescopio spaziale Hubble, siamo letteralmente in un’altra dimensione. Non solo altre frequenze (infrarosso e medio-infrarosso per Webb, visibile e ultravioletto per Hubble) ma anche maggiore capacità di raccogliere la luce grazie a uno specchio primario di 6,5 metri di diametro (contro i 2,5 dell’Hubble). Guardare l’universo con gli “occhiali” infrarossi apre a nuove possibilità: per dare un’idea, possiamo vedere attraverso la polvere, che cattura la luce visibile e la rilascia appunto nell’infrarosso, ma possiamo anche spingerci più in profondità nell’universo che, nella sua espansione costante e accelerata, “stiracchia” anche la luce delle galassie primordiali, che ci giunge così a lunghezze d’onda più grandi rispetto al visibile.
Gli scienziati che per primi si sono trovati di fronte a queste nuove, prime immagini, una volta processate, hanno confessato di aver pianto. Non si tratta solo di meraviglia, anche se basterebbe già quella. Sono immagini che li mettono di fronte a due possibilità: rispondere a domande che già si pongono sull’origine dell’universo, sulla materia oscura, sui pianeti extrasolari (per fare qualche esempio), ma anche dare risposte a domande che loro stessi non si sono ancora posti. Chi ha seguito la diretta della Nasa e dell’Esa, che ha presentato al mondo questi primi risultati, ha potuto respirare tutto l’entusiasmo e la trepidazione nel trovarsi davanti a qualcosa di assolutamente nuovo, all’alba di una nuova astronomia che diventa possibile. Lo ammetto: ho pianto anch’io arrivata al particolare dell’ammasso aperto nella Nebulosa della Carena, che ora fa da sfondo al mio desktop. Questa reazione così profonda, scaturita da un luogo, dentro di me, che continua a rimanere inviolato – il luogo della meraviglia davanti alla bellezza dell’universo – mi ha fatto riflettere. Possiamo mettere in campo tutte le conoscenze maturate in secoli di ricerca scientifica, le acquisizioni tecnologiche più sofisticate, la nostra capacità di descrivere l’universo attraverso leggi che scopriamo e verifichiamo in modo sempre più complesso e stratificato, ma l’impatto primo e primordiale è sempre lo stupore per la bellezza, la complessità, la grandiosità e la scoperta di ciò che tutto questo ci mette davanti. È una bellezza che ci fa bene: nel momento in cui la gustiamo, sentiamo anche di averne bisogno, perché capace di sciogliere almeno per un momento pensieri, tensioni, fatiche, aspirazioni. Il creato di cui siamo parte ci dona la bellezza per purificare la nostra anima. Dentro un mondo che ci sta mostrando tutta la drammaticità delle conseguenze della nostra sconsideratezza, e dell’abbandono del compito primario dell’uomo, quello di custodire e coltivare “il giardino” in cui siamo posti, le immagini del James Webb space telescope ci mettono di fronte a una verità che stiamo perdendo: lo stupore, la meraviglia di fronte alla bellezza del creato è parte integrante di quel compito, perché ce ne fa scoprire il valore, ci fa sentire creature, apre i nostri orizzonti, trasfigura i nostri limiti, ci immette in un movimento nuovo per “dare risposte a domande che ancora non conosciamo”.
