IdeeFuturo da costruire Nel mondo che si apre a contraddizioni e sfide, la nuova generazione può ancora giocarsi le sue carte con più lucidità e approcci costruttivi rispetto agli adulti
Dicono che a vent’anni si veda tutto in bianco e nero: idealità assolute a cui aderire o principi da rifiutare. Solo con i primi capelli grigi le persone imparerebbero a cogliere sfumature e compromessi, anche a costo di avvelenarsi con un po’ di cinismo. Il 2024 è stato un anno in bianco e nero: il nero della guerra, il nero della crisi climatica, il nero dell’affermazione dei populismi, ma anche il bianco della speranza, il bianco delle idee emerse dalla Settimana sociale dei cattolici in Italia di Trieste che vedono le basi per un rinnovato impegno dei cristiani per generare bellezza. E i giovani sono in prima linea. Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico di Milano, è vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali e vicepresidente della Scuola di economia civile.
Ma se avesse vent’anni oggi, con che occhi guarderebbe questo 2025 che comincia? «Vedrei un mondo incerto, pieno di sfide e contraddizioni, ma con la forza e la consapevolezza di poter ancora giocare la partita. Questo è l’unico mondo che i giovani conoscono. Ogni generazione affronta ostacoli grandi, ma il 2025 potrebbe rivelare una resilienza nascosta nei giovani. Credo che questo sia il momento per loro di costruire soluzioni nuove con energia e creatività».
Eppure un giovane oggi ha di fronte una politica sempre più polarizzata e un mondo sempre più in guerra. La tentazione di isolarsi nella propria cameretta è tanta… «Io sono cresciuta negli anni del terrorismo e dei grandi conflitti. Anche i giovani di oggi devono affrontare sfide enormi: la crisi climatica, i rischi epidemiologici e un mondo instabile. Ma credo molto nella loro capacità di trasformare difficoltà in opportunità con creatività e determinazione. I ventenni di oggi hanno una lucidità impressionante sui problemi che li circondano e un approccio spesso più costruttivo rispetto alle generazioni precedenti».
In una parola: la sintesi del 2024 e la speranza per il 2025? «Per il 2024 direi guerra. Il riaccendersi dei conflitti nel mondo, dall’Ucraina alla Palestina, ci ricorda che viviamo una “terza guerra mondiale a pezzi”. Non possiamo abituarci a questo stato di cose. Per il 2025, invece, spero nella pace, anche quando sembra irrecuperabile. Serve un impegno collettivo per riaffermarne il valore e costruire un nuovo equilibrio globale. Oggi milioni di persone vengono sacrificate sull’altare di una guerra che non ha più senso. Il timore più grosso è che il costo dell’incapacità politica di mettere insieme venga pagato soprattutto dai più deboli».
Guardando allo scenario geopolitico attuale, dominato da conflitti e tensioni, quale pensa possa essere il ruolo di un’America che con la rielezione di Trump sembra mandare in soffitta il multilateralismo? «Il modello americano di chiusura e protezione ci spaventa. Anche l’egemonia europea ha mostrato limiti nel consolidare la giustizia sociale. Il G7 e il G20 hanno fallito nel creare dialogo. Serve una nuova visione del mondo che superi le vecchie istituzioni e abbracci un approccio più inclusivo e cooperativo. È necessario ripensare il concetto stesso di potere, mettendo al centro valori come l’equità e la giustizia globale».
L’intelligenza artificiale sta cambiando profondamente il nostro mondo. Quali sono, secondo lei, i principali effetti che questa rivoluzione avrà nel 2025? Più le opportunità o più i pericoli per i posti di lavoro? «Porterà sia meno posti di lavoro che nuove opportunità. Sarà una trasformazione epocale che influenzerà il lavoro, l’economia e la coscienza umana. Dobbiamo affrontarla con spirito critico e mantenere saldi i nostri valori, educando le nuove generazioni a un uso consapevole. È cruciale non temerla, ma comprenderla e integrarla nei processi educativi e produttivi».
Nel 2025 il Giubileo a Roma, l’anno prossimo le Olimpiadi a Milano e Cortina. Quali pensa saranno gli effetti di queste manifestazioni sulle città ospitanti e sui loro abitanti? «Temo i grandi movimenti di massa planetari, anche per nobili ragioni. Roma rischia di diventare una fabbrica di turismo e merchandising, trasformandosi in una Disneyland dello spirito. L’economia dei flussi non deve prevalere sull’economia dei luoghi. Le città devono restare vivibili per le comunità locali. Questi eventi dovrebbero essere progettati per lasciare eredità positive, non solo infrastrutture temporanee».
Le Settimane sociali dei cattolici in Italia hanno fatto sentire a molti la necessità di un impegno nella politica e nella vita pubblica. Novità all’orizzonte? «Il nuovo non verrà da nuovi federatori, ancorché bravi, ma dalla riscoperta della politica come dimensione costitutiva della fede. C’è un risveglio di responsabilità nei territori e nei movimenti. Questa è una novità politica che va custodita e valorizzata per il bene comune. È un momento di grande fermento, in cui la partecipazione può davvero fare la differenza».
Quale Chiesa dopo questo Giubileo? «Immagino una Chiesa debole, ma debole come un bambino innocente. Una Chiesa che sa prendere la parola e che invita tutti alla responsabilità. C’è tantissima attesa e fiducia verso ciò che i cristiani potrebbero fare e che magari non fanno perché pensano tocchi a qualcun altro».
Guardando al futuro, quali sono le sue previsioni e speranze per il mondo? Osiamo attendere sorprese positive? «Confido nell’imprevisto e nell’inatteso, come direbbe Edgar Morin. Il futuro dipende dalla nostra capacità di accogliere il nuovo con speranza e responsabilità. Dobbiamo prepararci ad affrontare il domani con mente aperta e cuore saldo».
Gli eventi climatici hanno mostrato quanto le crisi ambientali siano ormai una realtà ineludibile… «La crisi climatica si manifesta sempre più frequentemente e intensamente. Valencia ci ha lasciato uno slogan potente: “Il popolo salva il popolo”. L’immagine dei cittadini che agiscono prima delle istituzioni è un messaggio chiaro: le comunità hanno un ruolo fondamentale. Dobbiamo intervenire sul territorio anche in tempi di quiete. Piantare alberi, preservare il suolo, adottare pratiche sostenibili non sono solo azioni necessarie, ma imperativi morali».
Andrea Canton
