L’occupazione complessivamente va bene, registriamo il record. Ma a ben guardare la componente in crescita occupazionale è tutta nella classe di età degli over 50, mentre le altre fasce restano stabili ad eccezione di quella tra i 35 e i 49 anni che presenta nell’ultimo anno un calo profondo di 120 mila posti.
C’è quindi un forte invecchiamento del mercato del lavoro italiano e si presenta a caratteri cubitali l’interrogativo di quanto il prolungamento dell’età lavorativa con l’aumento dell’età pensionabile stia influenzando l’intera economia con ricadute sulla produttività, che rimane stagnante, e con il crescere della discordanza dell’aumento sensibile dell’occupazione senza un parallelo aumento del Pil.
Tra alcuni anni quando uscirà dal mercato del lavoro questa rilevante componente matura di lavoratori senza ricambio con le nuove generazioni – per effetto della crisi demografica – si dovrà finalmente riconoscere quanto sia sbagliata e perdente la politica sulle immigrazioni di questi ultimi anni.
Anche dal punto di vista economico il lavoro resta surclassato. Una recente indagine dell’Iref (istituto di ricerca delle Acli) evidenzia come a Padova il 7,9 per cento dei lavoratori occupati ha un reddito minore a 726 euro mensili alimentando sensibilmente la quota di povertà delle famiglie. Questo allarme del lavoro povero si aggiunge al negativo andamento dei salari che sono diminuiti nel trentennio 1990-2020 e al fatto che ad oggi – a causa dell’inflazione e nonostante gli aumenti contrattuali – non siamo ancora riusciti a raggiungere il potere di acquisto del 2021.
Parallelamente sta cambiando profondamente il senso del lavoro soprattutto tra le giovani generazioni. Cambiamento sospinto dalle profonde trasformazioni tecnologiche, ma anche da una mutata visione protesa a costruire un nuovo equilibrio tra tempo per il lavoro e tempo di vita e maggiore realizzazione personale. Il capovolgimento della dinamica del mercato del lavoro è uno dei segnali più evidenti di questo cambiamento: prima era il lavoratore a cercare l’impresa oggi l’impresa a cercare il lavoratore.
In mezzo a tanto profonde trasformazioni il contributo delle Acli mira a ridare nuova centralità al lavoro. Anzitutto promuovendo la partecipazione. Al momento in cui le risorse umane sono la condizione più importante del successo di una impresa, in cui la qualità e l’innovazione sono frutto della assidua attenzione quotidiana di chi lavora, in cui l’intelligenza artificiale rappresenta una sfida per moltissime figure professionali, immaginare che possa continuare l’attuale modello gerarchico di governo delle aziende e del lavoro è solo autolesionistico. C’è bisogno della partecipazione, c’è bisogno di introdurre strumenti di condivisione nel governo delle imprese superando il tradizionale paradigma conflittuale che ha dominato nel secolo scorso. In fondo altro non è che costruire le gambe per dare concreta attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, una novità che rappresenta un passaggio culturale potenzialmente centrale per il futuro del nostro Paese. Nella vita politica ed economica dell’Italia i lavoratori cristiani devono sentire l’urgenza di essere portatori di una nuova visione del lavoro che promuova la persona, che consenta di far germogliare i talenti di cui ognuno dispone e di costruire una vita dignitosa per ogni uomo, che dia la possibilità di riscatto per quanti si trovano in condizione di svantaggio economico e sociale. Concorrendo in tal modo al superamento della cultura individualistica oggi dominante e alla costruzione di cittadinanza attiva.
Ma non sarà sufficiente promuovere una nuova economia e un nuovo lavoro se non ci faremo carico di salvare la democrazia. La sfida che oggi è portata alla democrazia viene prima di tutto dall’interno, cioè dalle spinte autoritarie e da una visione predatoria di Trump, dallo sterminio del popolo palestinese di Netanyahu e dall’esterno, cioè dall’imposizione della forza e della guerra nel più totale disprezzo di ogni istituzione del diritto internazionale da parte della dittatura di Putin. Si impone l’ineludibile domanda: cosa sarà l’Occidente e la democrazia nel 21° secolo? Spetta a quel mondo del lavoro, che in nome del bene comune ha saputo nel secolo scorso guidare il Paese verso il riscatto delle masse lavoratrici e verso nuovi traguardi di progresso sociale attraverso le riforme, essere l’avamposto di una stagione del cambiamento che sappia mutare gli indirizzi economici, ma non rinunci ad essere protagonista nel ricostruire la democrazia.