IdeeIl prossimo futuro è raggiungibile solo seguendo una strada: pensare assieme, in sintonia, per rilanciare il territorio
«Noi non dobbiamo pensare al periodo della pandemia, ma dobbiamo pensare a quello che verrà dopo, perché il presente va sì gestito, ma è il futuro che va costruito a partire da oggi». È con questa riflessione che Fabio Bui, presidente della Provincia di Padova, percorre i primi passi nel 2022, guardando avanti, ma portando con sé l’esperienza di due anni che hanno segnato noi tutti. Il futuro va costruito, dice, e si rivolge idealmente a chiunque abbia responsabilità collettive: amministratori, politici, associazioni, ma anche famiglie. Ognuno deve gestire il presente nel migliore dei modi possibili pensando a edificare il domani: «Il rischio è di rimanere marginalizzati rispetto al mondo che corre. Abbiamo temi nevralgici da affrontare, uno su tutti è infrastrutturale: l’economia di questo territorio, che determina uno dei maggiori Pil europei, ha bisogno di infrastrutture, poche ma fatte bene. Non è più tempo delle dichiarazioni del “faremo”: oggi cosa serve? Collegamenti con l’Europa sia viari – penso alla Pedemontana e alla necessità di aprire quei due corridoi che sono la Valsugana e la strada regionale 308 – sia tecnologici. Le persone comunicano in rete, le società si relazionano via rete e non è pensabile avere ancora zone scoperte e sprovviste. Questo porta con sé un altro punto debole, cioè la capacità di pensiero d’insieme».
Eppure la pandemia, soprattutto durante i primi mesi di lockdown, ci ha dimostrato che è possibile farsi carico di una comunità, stringere le mani per sollevarsi a vicenda, ripartendo senza lasciare nessuno indietro. Insieme.«Certo, ma la realtà ci dice che ogni comune ha la sua area produttiva. Quando esco da alcune riunioni con i sindaci sembra di assistere a una terapia di gruppo, sento criticità che non si possono superare da soli e, al contrario, ci sfugge tutto quello che si può fare assieme. Il sindaco deve pensare di amministrare una piccola realtà all’interno di un territorio più ampio dove si possono costruire piani integrati di welfare, di sanità e d’istruzione. Non possiamo ripercorrere l’esistente laddove non è più performante rispetto, ancora una volta, al mondo che va veloce. La Provincia di Padova è 13ª in Italia per Pil, ma è composta da 102 comuni, 102 “centri di potere”, invece noi dobbiamo pensare alla Padova che nei prossimi venti anni sarà composta da 40 o 50 comuni. È tempo di maturare un pensiero unico. Sollevo lo sguardo a livello nazionale: la pandemia ci ha dato tantissimi dispiaceri, ma anche qualche insegnamento e all’inizio di tutto questo avevamo dimostrato la capacità di reagire assieme. Ecco, questo non dev’essere solo nei momenti di grande difficoltà, dobbiamo costruire questa unità anche nei momenti “di pace”, non essere uniti a intermittenza solo quando vince la Nazionale di calcio. Da solo cosa esisto a fare? Purtroppo oggi, tensioni e tanta stanchezza ci stanno facendo smarrire questo senso».
Tutto attorno, dicevamo, va a una sua velocità e rischiamo di rimanere indietro. Il Pnrr con il suo “tesoretto” di progetti può essere l’ultimo grande treno da agganciare al volo per stare al passo con l’Europa e con il futuro. Siamo pronti?«In questi anni noi amministratori più che la responsabilità di governo abbiamo esercitato in alcuni casi la responsabilità dell’alibi, sempre nascosti dietro alla cantilena dei soldi mancanti. Oggi ci sono e dobbiamo saperli spendere. Anzi, intanto dobbiamo saperli prendere e realizzare progetti seri: il Pnrr non finanzia le fontane o i marciapiedi del paesino, ma le grandi idee territoriali. E torna ancora il senso del territorio. Questo è il tema vero dell’Italia: abbiamo fondi da spendere entro marzo 2026. E qui subentra una riflessione sulla burocrazia perché pur sviluppando bandi e percorsi con la massima professionalità e competenza, forse, non avremmo comunque i tempi per portarli a casa, allora propongo: date i poteri commissariali, usiamo il modello del Ponte di Genova per dare la responsabilità commissariale agli amministratori. Ma ancora una volta ci dividiamo tutti a causa dell’appartenenza politica e intavoliamo poche discussioni sul Veneto che davvero vogliamo nei prossimi 50 anni. Dobbiamo essere pragmatici e ricordarci che una macchina corre per il motore e non per la targa che espone».
Unirsi, mettersi assieme nella stessa “casa”. È quello che la Diocesi di Padova sta intraprendendo, nel suo cammino sinodale. Cosa consiglierebbe alla Chiesa di Padova per essere ancor più presente nel territorio?«Alla Diocesi non do consigli perché c’è già in questo territorio. Dobbiamo cogliere ciò che avviene nelle nostre parrocchie e sapere fare sintesi delle difficoltà di cui i parroci sono testimoni, condividendo da vicino e nella quotidianità quello che emerge dalle comunità o dai singoli fedeli. La Diocesi ci ha insegnato e deve continuare a darci valori di riferimento comunitari: molti di noi vengono da esperienza associative, io per esempio vengo dal mondo scout e ricordo bene la tappa della “partenza”, dell’impegno da prendere. La Chiesa di Padova deve mantenere fermi i valori e pretenderli e richiamarci, non lasciare mai la politica senza riferimenti. Questo è quello che oggi mi sento di dire, senza mai arretrare dai valori di riferimento e chi più delle nostre parrocchie e il nostro vescovo possono essere guida? Camminiamo assieme e non deve aver “paura” di richiamarci costantemente alla responsabilità collettiva».
