Idee | Pensiero Libero
Nel documento di sintesi del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, intitolato Lievito di pace e di speranza (di cui parliamo a pagina 11) le novità non mancano, nemmeno per chi, come molti dei lettori della Difesa, vive in prima persona la vita della comunità ecclesiale. Non ripercorreremo anche noi gli sterili sentieri di polemiche e forzature sui passaggi del documento in cui si parla di omosessualità e ruolo delle donne, anche se proprio qui sta una gradita novità: per la prima volta la Chiesa italiana ha diffuso i risultati delle votazioni parziali e totale sul documento, così abbiamo potuto vedere i distinguo, in alcuni casi del 20 per cento dei delegati delle oltre 200 Diocesi italiane, specie su questi due punti.
Quella della trasparenza è una scelta oramai non più eludibile, un frutto maturato proprio durante questo Cammino sinodale, come ha ammesso il suo presidente, il vescovo di Modena-Nonantola e Carpi Erio Castellucci, facendo riferimento alla mancata pubblicazione del precedente testo, quello che la Seconda assemblea sinodale aveva bocciato lo scorso aprile. La seconda gradita novità sono le oltre cento proposte concrete, pratiche, con tanto di soggetti coinvolti (a volte la Cei, altre le Chiese locali, altre ancora i livelli intermedi come quello regionale o continentale) per dare corpo alla conversione missionaria che la Chiesa italiana ha assunto in questi quattro anni di Sinodo.
Infine, terza novità, in più passaggi del testo, pastori e laici fanno riferimento a una Chiesa immersa in un mondo al quale ha molto da dare e dal quale ha altrettanto da imparare, in un atteggiamento di ascolto e di umiltà. Ci sono poi una serie di convergenze con le conclusioni a cui anche il nostro Sinodo diocesano è giunto. Basti osservare come il Cammino sinodale italiano intenda declinare la conversione missionaria. Le parole chiave sono «corresponsabilità differenziata», un concetto che rimanda direttamente al ruolo dei laici, ministri in quanto battezzati, e all’anno di sensibilizzazione ai ministeri battesimali che la nostra Diocesi sta vivendo. In questa stessa direzione vanno gli accenti posti in numerosi passaggi alle relazioni tra persone ma anche tra Chiese locali (trasposto sul piano diocesano potremmo dire tra parrocchie). Infine va sottolineata la quasi unanimità con la quale l’Assemblea ha votato la necessità di una formazione continua e condivisa tra presbiteri e laici per sperimentare nuovi spazi di riflessione e di pastorale e soprattutto per «un rinnovamento nella mentalità dell’azione ecclesiale, ispirato allo stile di Gesù» (n. 21).
Ci sono tuttavia anche dei rischi che i vescovi italiani – la presidenza della Cei si è già riunita lunedì scorso per iniziare a preparare l’Assemblea generale del 17-20 novembre prossimi – sono chiamati a eludere. La prima è la necessità di porre delle priorità chiare e perseguibili negli Orientamenti quinquennali che emergeranno dall’altra Assemblea generale, quella del maggio 2026.
Le oltre cento proposte non hanno tutte lo stesso peso né la stessa urgenza. In alcuni casi sarà necessario che la riflessione evolva con il passare del tempo: per quanto riguarda l’omoaffettività, è lo stesso documento al numero 30 a fissare l’obiettivo di «arrivare, con gradualità, a scelte condivise». In altri casi invece, il Cammino sinodale non fa che prendere atto di iniziative già realizzate in molte Diocesi. Il secondo grande rischio, a nostro modo di vedere, è che si pretenda di realizzare le più prioritarie tra le proposte emerse dal cammino, allo stesso modo in tutte le Chiese locali del Paese. Da tempo ormai, nelle sue esternazioni, la Chiesa universale ha compreso che una certa autonomia in base al contesto sociale ed economico è necessario (vedi il dibattito attorno ai viri probati prima del Sinodo pan-amazzonico). Lo stesso vale per l’Italia, dove la capillarità della Chiesa e la differenziazione di tradizioni e culture impongono specificità e non omologazione.