Le decennali vicende del programma nucleare iraniano, portato avanti a fini civili, secondo il governo degli ayatollah, destinato invece all’arricchimento dell’uranio per dotare il Paese di ordigni atomici, secondo Israele, sono state al centro del confronto promosso nei gironi scorsi dalla Scuola di studi internazionali dell’Università di Trento, che ha fatto anche emergere il ritratto di una società iraniana più articolata di quanto usualmente si pensi.
Lo ha fatto notare con chiarezza il prof. Pejman Abdolmohammadi, docente della Scuola di studi internazionali di Trento: «La Repubblica islamica domina dal punto di vista etico, ma a Teheran l’80 per cento delle donne esce di casa senza il velo. Non si tratta di esportare la democrazia, è già nel il popolo iraniano», ha osservato, sottolineando – a proposito della prospettiva di un regime change – che per la nascita di un nuovo Iran ci vorrebbe «un attore regionale o estero» che desse una mano a quella parte della popolazione, maggioritaria, insofferente verso il regime, ma che oggi ancora non può uscire allo scoperto. Un cambiamento, ha osservato, ci potrà essere quando tornerà in piazza la popolazione, «ma per ora è troppo pericoloso». Il docente ha anche indicato le responsabilità dell’Unione Europea, che «non ha sanzionato la Repubblica islamica», e osservato come molti attori non vogliano un nuovo Iran.
Qualche esempio? Azerbaijan o Kazakhistan si sentirebbero minacciati. Quella del nucleare è una storia, ha spiegato Ludovica Castelli, ricercatrice dell’Istituto Affari Internazionali, di almeno vent’anni di tentativi dell’Iran di nascondere il suo programma nucleare, di opacità, con la scoperta negli ultimi 15 anni di siti non dichiarati che hanno portato alla situazione attuale, fino all’ultimo report dell’Aiea che affermava di non poter garantire la natura pacifica del programma nucleare. Una valutazione che si limita alla fattibilità tecnica dell’azione di arricchimento, ma che non comporta, è ovvio, un giudizio politico, ha precisato Castelli, rimarcando la legittimità dell’Iran, in base agli accordi esistenti, ad arricchire “limitatamente” l’uranio. «Ora il programma nucleare civile dell’Iran ha subito sicuramente danni e l’amministrazione Trump probabilmente ritiene che il regime sia più flessibile ad un accordo che contempli arricchimento zero. Ma Teheran non vuole rinunciare a un arricchimento limitato, che sostiene essere per scopi pacifici, perché il programma nucleare è carico anche di simbologia, oltre a essere costato enormi sacrifici, in termini di risorse, anche umane».