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Da venerdì 28 novembre la passerella ciclopedonale che attraversa il canale Brentella, nel Quartiere 6 Ovest, ha un nome. È stata intitolata a Teresa, Lidia, Renata e Carla Liliana Martini, le quattro sorelle che, giovanissime, divennero il braccio operativo della rete di salvezza tessuta da padre Placido Cortese. Una scelta toponomastica non casuale, che fissa nella geografia della città il ricordo di chi, dopo l’8 settembre 1943, rischiò la vita per salvare centinaia di militari alleati, ebrei e perseguitati politici.
La cerimonia si è svolta proprio sull’argine, un luogo carico di significato storico. Come ha ricordato padre Giorgio Laggioni, vicepostulatore della causa di beatificazione di padre Cortese: «Siamo in vista del campanile di Chiesanuova. A pochi metri da qui sorgeva il campo di concentramento dove padre Placido portava carità e conforto agli internati jugoslavi». È in questo contesto che maturò l’impegno delle sorelle Martini. «Un’opera straordinaria di solidarietà – ha aggiunto padre Laggioni – resa possibile da queste ragazze e dal frate del Santo, che procurava denaro, abiti e le fotografie per i documenti falsi, staccandole dagli ex voto dell’Arca con la consapevolezza che servivano a fare del bene».





Presente al momento di preghiera e benedizione anche il rettore della Basilica del Santo, padre Antonio Ramina, che ha sottolineato l’importanza dei segni visibili sul territorio: «È fondamentale avere ricordi tangibili per tramandare alle generazioni future il bene compiuto, talvolta a prezzo della vita. Questo luogo ci ricorda un legame di sangue, quello delle sorelle, che è diventato legame di solidarietà capace di salvare molte vite».
Per l’amministrazione comunale è intervenuta l’assessora Francesca Benciolini, che ha posto l’accento sul valore civico dell’intitolazione: «Dare un nome significa riconoscere dignità ed esistenza. Le passerelle uniscono le sponde, e intitolarne una alle sorelle Martini significa dire che la città è attraversata dalla memoria viva di chi ha praticato la giustizia». Citando Hannah Arendt, l’assessora ha ricordato come, anche nei momenti più bui, «ognuno può sempre decidere di dire un sì o un no».
Toccanti le testimonianze dei familiari, che hanno tratteggiato il profilo umano di Teresa, Lidia, Renata e Carla Liliana, al di là dell’eroismo di quei mesi. Andreina Redetti, figlia di Teresa, ha raccontato come quello spirito di servizio non si sia esaurito con la fine della guerra: «Non hanno mai abbandonato l’idea di dover fare la propria parte. Mia madre tornò nell’ex Jugoslavia negli anni Novanta per portare aiuti, la zia Liliana partì in missione in India, ed erano preoccupate per la crisi ecologica ben prima che diventasse un tema globale». Il loro lascito, ha concluso citando Alexander Langer, è l’invito a «provare sempre a riparare il mondo».

Enzo Sabbadin, figlio di Lidia, ha invece ripercorso il silenzio che per anni ha avvolto queste vicende in famiglia, complice il dolore per la perdita di un fratello pilota e la prigionia di altri tre. Quando le sorelle decisero infine di parlare, spiegarono con disarmante semplicità la loro scelta di allora: «Dissero ai genitori: “Se ai nostri fratelli qualcuno facesse quello che noi facciamo per questi prigionieri, non sareste contenti?”». Una domanda che convinse anche il nonno, primo finanziatore delle spese vive per i salvataggi.
Al termine della cerimonia, dopo lo scoprimento della targa, un ultimo gesto spontaneo ha chiuso la mattinata: decine di figli e nipoti delle sorelle Martini – solo una rappresentanza della numerosa discendenza – si sono riuniti sulla passerella per una foto di gruppo. Un’immagine di vita che continua, proprio lì dove settant’anni fa passava il confine tra la persecuzione e la libertà.
