Idee
Il tessuto economico del Veneto sta subendo una trasformazione epocale. Secondo i dati presentati dalla Banca d’Italia nel suo report sull’economia del Veneto pubblicato lo scorso giugno, l’industria manifatturiera, pilastro del sistema produttivo regionale che negli anni Ottanta e Novanta l’ha resa la “locomotiva d’Italia”, è diminuita dell’1,4 per cento nel 2024.
La produzione è calata in quasi tutti i principali settori mentre è cresciuta nel settore alimentare e bevande. A crescere sono invece il settore dei servizi (più 0,6 per cento) il settore edile (più 4,8 per cento) trainato da bonus vari e Pnrr, e l’agricoltura, in particolare il vino che ha visto aumentare l’export del 7,3 per cento. In generale, afferma la Banca d’Italia, nel 2024 l’attività economica regionale è rimasta debole risentendo dell’elevata incertezza associata alle prospettive economiche e alle tensioni geopolitiche. Secondo l’Indicatore trimestrale dell’economia regionale (Iter) elaborato dalla Banca d’Italia, il prodotto regionale sarebbe lievemente cresciuto in termini reali (0,5 per cento; 0,7 il dato nazionale), un valore di poco inferiore a quello del 2023.
Per quanto riguarda l’occupazione, il report afferma che dopo due anni di crescita sostenuta, nel 2024 l’occupazione è rimasta stabile. L’andamento è risultato eterogeneo tra i settori: nei servizi, in particolare nel comparto del commercio, alberghi e ristorazione, gli occupati hanno registrato un calo, nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni hanno continuato a crescere. Sembra un dato in contraddizione rispetto all’andamento del settore manifatturiero, che l’economista Paolo Gurisatti, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, spiega così: «Se il Pil non cresce ma l’occupazione aumenta, significa che ogni anno ci vogliono più lavoratori per produrre la stessa “torta”. Di conseguenza, le fette da dividere sono più piccole. Le stagnazioni dei salari sono un segnale inequivocabile del declino industriale».
Nel 2024 in termini reali i redditi e i consumi delle famiglie venete sarebbero aumentati; le variazioni appaiono in linea con quelle medie del Paese. «Ma eravamo abituati a produttività e salari ben superiori alla media italiana», chiosa Gurisatti.
Uno sguardo all’ultimo rapporto statistico della Regione Veneto conferma le tendenze elaborate dalla Banca d’Italia. Secondo lo studio, negli ultimi 15 anni, il sistema economico veneto ha mantenuto «dinamismo e resilienza», superando indenne le crisi economiche e sanitarie, restituendo una «immagine positiva» nonostante il persistente scenario internazionale incerto dovuto a tensioni geopolitiche e dazi. È utile segnalare una contrazione dell’export nel 2024 di circa l’1,8 per cento, superiore alla media nazionale (meno 0,4 per cento). Un dato che va di pari passo con la stagnazione manifatturiera. L’export è infatti diminuito sia verso l’area dell’Unione Europea che verso l’area extra Ue. La riduzione maggiore è legata ai primi tre mercati di sbocco: Germania, Francia, e Austria, mentre gli Usa sono il principale mercato extra Ue. I settori predominanti nell’export sono la meccanica, il comparto moda, l’agroalimentare (trainato dal vino) e la metallurgia.
Il report statistico conferma inoltre un aumento dei flussi turistici con un più 3,3 per cento nel 2024 rispetto al più 2,2 per cento del 2023, con la conseguente forte crescita delle strutture extra alberghiere. Il problema di questo spostamento dall’industria ai servizi, secondo l’economista Gurisatti, sta nel fatto che «il sistema regionale non è stato capace di aumentare la produttività. È noto che il valore aggiunto in termini di Pil di un’ora lavorata nell’industria è ben superiore rispetto a un’ora lavorata nel settore dei servizi. Il Veneto non rappresenta più un’eccezione. Con Lombardia ed Emilia-Romagna rappresenta la terza Regione più ricca d’Italia, ma con valori di poco superiori alla media nazionale e comunque lontanissimi dal resto d’Europa».
Ma il governo regionale che contributo può dare in termini di politica economica? «Può dare un contributo positivo, ma deve radicalmente modificare il proprio approccio alla programmazione – afferma Gurisatti – In primo luogo deve considerare il territorio veneto come uno spazio metropolitano da strutturare in due sistemi complementari: il Venice Manufacturing District pedemontano, oggi collegato dalla Superstrada Pedemontana Veneta, e Downtown Venice, l’area compresa tra Padova e Mestre. Ciascuno di questi sistemi ha bisogno di strategie nuove. Assecondare la cessione delle imprese industriali a fondi esteri nell’area pedemontana e insistere sull’overtourism a Venezia, Padova, a Cortina o sul Garda, non serve a costruire uno spazio metropolitano integrato competitivo con Milano, Bologna o le altre capitali europee».
Un altro settore sul quale il governo regionale può incidere sono gli spazi verdi e montani: «Il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature pongono problemi nuovi al sistema idrico e al settore agroalimentare. Devono essere affrontati per evitare danni. Considerare la tempesta Vaia o le alluvioni di Venezia e Valdagno “eventi eccezionali” può rivelarsi un errore. Come è un errore ipotizzare un’ulteriore estensione di monocolture agricole intensive come quella del vino».
Secondo Paolo Gurisatti, in conclusione, il problema non sta nel colore politico di chi governerà il Veneto nei prossimi anni: «Qui stiamo ragionando sulle strategie necessarie per ristrutturare e rimettere in pista una struttura produttiva che torni a darci quelle soddisfazioni mancate negli ultimi 20 anni. Vent’anni in cui siamo rimasti seduti sugli allori».

Negli ultimi anni tra il Veneto e l’Emilia-Romagna è un “testa a testa”, con la seconda che comincia a registrare performance migliori rispetto alla prima su diversi indicatori economici. Per comprendere le differenze tra i due sistemi economici, ricorriamo a una metafora automobilistica: il Veneto può esser paragonato a un’Audi d’alta gamma, automobile di indiscusso valore, affidabilità, sicurezza e qualità nei materiali e nelle finiture (e probabilmente con componenti meccaniche prodotte da aziende vicentine). Prodotto che però risente pesantemente della crisi del mercato dell’auto, dei dazi, della supremazia cinese nella produzione di batterie. L’Emilia-Romagna, non serve tanta immaginazione, è una Ferrari, prodotta in Italia, per un mercato di nicchia, ma sul quale converge il meglio del know-how manifatturiero e tecnologico italiano.
Cosa accomuna le due economie? Entrambe, in questo momento, viaggiano a passo d’uomo, appena più veloci rispetto al resto d’Italia (esclusa la Lombardia) ma decisamente più lente del resto d’Europa. C’è però un dato da tenere d’occhio, e che aiuta a capire perché l’economia regionale dell’Emilia-Romagna è più dinamica di quella veneta. L’Emilia-Romagna vanta un posizionamento più forte nell’ambito dell’innovazione e della digitalizzazione, ben al di sopra rispetto alla media italiana e vicina ai livelli del resto d’Europa. Secondo l’European Innovation Scoreboard, diffuso dalla Commissione europea, gli “innovatori forti” in Italia sono tre: Provincia autonoma di Trento, l’Emilia-Romagna e il Friuli-Venezia Giulia. Il Veneto è classificato come “innovatore moderato”. L’Emilia-Romagna ha fatto registrare un indice di performance di 115,4 punti, superiore alla media europea di 112,6. Il punteggio del Veneto è di 107,1 (Trento si piazza a 119,5 e il Friuli-Venezia Giulia a 113,1).
L’Emilia-Romagna stacca di netto il Veneto su diversi indicatori, come il numero di persone impegnate in attività di apprendimento permanente, nel numero di pubblicazioni scientifiche, nella diffusione della banda larga, negli investimenti in ricerca e sviluppo. «L’Emilia-Romagna ha due caratteristiche – spiega l’economista Giancarlo Corò, docente a Ca’ Foscari – Ha privilegiato la meccanica in un settore che non subisce la concorrenza a basso costo che subiamo noi veneti. La seconda caratteristica è la dimensione in media maggiore delle imprese emiliane che svolgono così il ruolo di leader nelle filiere».
A questo si aggiunge «un dialogo tra università e imprese mediato dal sistema politico che in Veneto neanche immaginiamo. Non è questione di colore politico ma di mentalità. In Veneto ognuno va per conto suo».

L’economia padovana mostra solidità nonostante le incertezze globali. Secondo la nota economica 2025-2026 della Camera di commercio, il prodotto interno lordo provinciale raggiungerà i 36,2 miliardi di euro, in crescita dello 0,8 per cento, sopra la media nazionale ma sotto quella veneta. L’export cala dell’1,1 per cento nel primo semestre, con la Germania in forte flessione (meno 11,3 per cento) perdendo così il ruolo di primo mercato, superata dalla Francia, mentre aumentano le importazioni dalla Cina (più 18 per cento). Restano positivi i settori alimentare (più 9,7) ed elettrico (più 9). Le imprese sono 85.100, con crescita nei servizi tecnologici e alla persona. Il valore aggiunto pro-capite (ovvero il rapporto fra il valore aggiunto complessivo e la popolazione residente) cresce dell’1,23 per cento, con 38.354 euro, secondo posto veneto.
Lo scorso 31 ottobre, oltre 1.200 consulenti del lavoro hanno partecipato alla seconda edizione di “Lavorando Veneto 2025”, giornata di confronto dedicata a lavoro sicuro, regolare, inclusivo e al futuro delle professioni. Quattro i focus: contrattazione e salario minimo, sicurezza, accesso al lavoro e occupazione giovanile. Il presidente dell’Ordine di Padova, Stefano Dalla Mutta, ha sottolineato le novità e criticità del mercato del lavoro, evidenziando il nodo demografico e la necessità di coinvolgere giovani e donne, ancora troppo escluse dal mondo del lavoro: «In Italia l’occupazione femminile si ferma al 52 per cento contro il 70 per cento della media europea. Ai giovani bisogna dare fiducia e bisogna fare attenzione ai lavori che cambiano: la velocità con cui il lavoro si trasforma ci pone davanti alla sfida di riuscire a governare questa mutazione piuttosto che subirla».