L’intervista integrale a Marco Angius, direttore musicale e artistico di OPV. Una parte dell’intervista è stata pubblicata sulla Difesa del 31 agosto.
Il sacro in musica, dal glorioso passato ai giorni nostri: un’ispirazione che si è fatta strada nei secoli, trovando via via il modo di raccontare in note i misteri della fede a pubblici distanti, nel tempo e nel modo di sentire. Una ricerca che l’arte compie da sé, con i propri mezzi, sovrapponendo il Verbo al linguaggio universale dei suoni, secondo una visione che unisce rigore ed estro creativo. Un volto fondamentale della spiritualità che la rassegna “In Principio”, promossa dall’Orchestra di Padova e del Veneto, in collaborazione con l’Ufficio per la Liturgia della Diocesi di Padova e le parrocchie del Centro storico, indaga da nove edizioni. Quella in arrivo, in programma dal 5 al 26 settembre, s’intitola “Passio” e, tramite il genere omonimo, individua nuovi affascinanti confronti/nessi fra le epoche. Ne abbiamo parlato con il il M° Marco Angius.
Quale lo spazio dell’innovazione e quale quello della tradizione del linguaggio in questa rassegna? «È stata da sempre la cifra di “In principio”. Il prossimo anno festeggeremo i 10 anni dall’istituzione di questa rassegna, unica in Italia, che approfondisce il repertorio sacro e liturgico delle varie epoche utilizzando i mezzi di un’orchestra. L’originalità consiste, appunto, nell’intrecciare i programmi tradizionali con un linguaggio più vicino ai nostri tempi, con cui normalmente non si identifica la musica sacra. La novità, condivisa con la Diocesi, è dare un’idea di cosa potrebbe essere oggi un’ispirazione sacra per la creatività musicale».
Il genere musicale “Passio”, titolo di questa edizione, come viene interpretato nel tempo? «Il programma di quest’anno ne dà una visione, uno spaccato, concentrato sulla prima e sulla seconda metà del Novecento. Ho scelto questo titolo in latino perché è molto significativo e ricorrente nella musica di tutti i tempi. Quando diciamo “Passione” pensiamo soprattutto alle grandi Passioni bachiane: quello dell’oratorio è un genere parzialmente rappresentativo – in qualche modo parallelo allo sviluppo dell’opera – che si svolgeva, dal tardo Cinquecento in poi, nelle chiese e aveva un significato educativo, ovviamente, però dava l’opportunità ai compositori di arrivare alla soglia della rappresentazione vera e propria, cosa che non potrebbe avvenire in una chiesa, salvo rarissime eccezioni (penso ad “Assassinio nella cattedrale” di Pizzetti). Questo aspetto di essere sulla soglia della rappresentazione e di considerare sempre molto divisi i mondi del teatro musicale da uno spazio liturgico come una chiesa, in realtà nel corso dei secoli è stato affrontato dai compositori anche in ambito di composizioni sacre oratoriali. Oratoriale vuol dire che c’è un coro, che ci sono dei personaggi, che ci sono dei cantanti, ma non c’è la scena, perché la scena è la chiesa stessa che ha le sue caratteristiche di spazializzazione, di posizionamento e così via. Non dimentichiamo che la sperimentazione musicale non è avvenuta soltanto in luoghi profani, ma anche nelle chiese, se pensiamo alla pratica dei cori battenti veneziani, alle chiese che hanno più organi, in cui viene creata una specie di drammaturgia musicale. Questo argomento quindi mi ha sempre molto interessato, perché ci sono stati dei compositori del passato, penso soprattutto a Giacomo Carissimi, che hanno composto per il genere oratoriale. Poi nel Novecento le strade si moltiplicano e paradossalmente arriviamo a dei generi che recuperano questa pratica. Il Novecento è un secolo di crisi, di decadenza per alcuni aspetti, e per altri è di rilettura del passato. Da questa premessa sono arrivato al fatto di creare una sorta di filo rosso, perché abbiamo i concerti di questa nona edizione di “In principio” e poi con OPV le esecuzioni di musica sacra continuano anche durante l’anno, durante le festività natalizie e quelle pasquali, le programmazioni si intersecano e si richiamano Sono dunque arrivato a questa idea di “Passio” sia vocale che strumentale. Non è un caso dunque che la presente edizione si apra con le “Sette Parole” (“Seven Words”) di Sofija Gubaidulina (5 settembre, ndr), compositrice russa recentemente scomparsa, tra le figure più importanti del Novecento musicale, la quale ha creato una sorta di stilizzazione della Passione, affidandola non a delle voci ma a degli strumenti che recitano: una fisarmonica e un violoncello solisti, qui suonati rispettivamente dai giovani talenti Samuele Telari e Michele Marco Rossi. Sul tema della Passione ci sono queste due polarità, da un lato una drammaturgia puramente strumentale, accostata alla sinfonia “La Passione” di Haydn e quindi al tardo Settecento, diciamo, viennese, e dall’altra parte, dall’altra polarità, ci sarà il concerto conclusivo, che avrà anche una replica, quello con “La Passione” di Malipiero, un lavoro dell’inizio degli anni Trenta che fa parte di un percorso che stiamo realizzando sulla figura di Gian Francesco Malipiero, un grande compositore e intellettuale ma, soprattutto, quasi un umanista del Novecento, che ha lasciato un catalogo enorme. Come tutti sanno, ha vissuto gran parte della sua vita in una villa ad Asolo, il cui fondo si trova presso la Fondazione Cini di Venezia. Dopo alcuni anni che ero a Padova ho scoperto questa sua trilogia mistica, “La Cena”, “La Passione” e il “San Francesco d’Assisi”, di cui sapevo dell’esistenza ma non avevo approfondito, sono lavori composti tra gli anni Venti e gli anni Trenta del secolo scorso, da un Malipiero relativamente giovane, perché Malipiero fa parte della generazione dell’Ottanta e scompare alla metà degli anni Settanta, quindi muore vecchissimo attraversando un po’ tutte le vicende del Novecento e scrivendo per tutti i generi, e infatti, contestualmente a questa Passione stanno per uscire l’integrale sinfonica delle 11 sinfonie che abbiamo registrato con l’orchestra e fa parte appunto del percorso di approfondimento su Malipiero: nelle mie intenzioni vorrei che a Padova vi fosse un laboratorio dedicato permanente, come per Rossini a Pesaro e Verdi a Parma. Malipiero è stato in contatto con tutte le più importanti figure del Novecento musicale e culturale europeo che lo venivano a trovare ad Asolo o che aveva conosciuto lui stesso nei viaggi in Europa ed è una figura che, in particolare, ha approfondito il repertorio di musica sacra. Con OPV avevamo presentato “La Cena” a Pasqua, ispirata appunto all’Ultima Cena, sul testo di Pierozzo Castellano Castellani, che è un testo tardo cinquecentesco, che ha creato il libretto di questa nuova forma di oratorio novecentesco. Malipiero, che è il più grande restauratore dell’opera musicale italiana nella prima metà del Novecento, che riscrive integralmente l’opera di Monteverdi, impiegando venticinque anni, che fa l’edizione dell’opera di Vivaldi, appare come una grande figura di umanista, di uomo di cultura, che ricostruisce tutta un’epoca sommersa della musica italiana tra il Cinque e Seicento, fino al Settecento. E in questa grande opera di restauro musicale, lui è anche un compositore molto prolifico, con lavori che poi sono stati dimenticati o abbandonati. Di fronte a quest’opera così vasta, ho pensato che bisognava iniziare un’esplorazione sistematica e quindi abbiamo deciso di registrare la Trilogia Mistica (il “San Francesco”, un mistero per baritono, coro e orchestra, lo registreremo a dicembre) per mostrare uno spaccato di questo interesse che c’è stato nell’Italia negli anni Venti e Trenta per la musica antica. Malipiero scrive degli oratori sacri in latino, ovvero in italiano antico in parte, in italiano anche maccheronico, in certi casi, perché è un italiano cinquecentesco ma non aulico, volutamente povero, apparentemente povero anche nella strumentazione, perché voleva in qualche modo far risorgere questo oratorio antico, secentesco, e quindi “La Passione” di Malipiero che presentiamo, mai eseguita a Padova, è un lavoro per coro e orchestra, sarà diretto da Mimma Campanale e avrà il Coro Iris Ensemble di Marina Malavasi. La caratteristica di questa “Passione” è il momento finale, quello della crocifissione e del giudizio di Cristo, realizzato in maniera molto sintetica, con un libretto molto stringato che ha elaborato Malipiero stesso da questa fonte tardo cinquecentesca, creando una sorta di moderno oratorio in cui i personaggi sono rappresentati da parti del coro: si tratta di una sorta di teatro povero, diciamo così, con un’orchestrazione essenziale, ma molto raffinata, in cui il Novecento e la musica antica in qualche modo si attraversano. Questo aspetto mi ha molto colpito perché, per esempio, il Cristo è rappresentato dal coro intero, cioè dalla comunità, e non da un personaggio. E poi c’è tutta una serie di personaggi, l’Angelo, Pilato, il Centurione, una sorta di estratto della Passione che Malipiero realizza con grande realismo. Un esempio, quando il Cristo viene crocefisso e vengono conficcati i chiodi nella carne, lui usa uno strumento che è lo xilofono con dei colpi violentissimi: c’è una sorta di realismo di raffigurazione musicale rispetto al testo. Può sembrare ingenuo, ma è molto immediato ed è comunque un caso unico nella storia della musica italiana. Dalle “Sette Parole” della Gubaidulina, un pezzo di circa vent’anni fa, a questa Passione di Malipiero che chiude la rassegna, un lavoro del 1935, ho posto poi un’altra data (12 settembre, ndr), con l’organista Alessandro Perin, in cui, oltre alla Sinfonia n. 6 “degli archi” di Malipiero, saranno eseguiti il quarto concerto per organo di Händel e quello di Francis Poulenc, nel quale si ritrova ancora un dialogo Barocco-Novecento, perché Poulenc è stato un compositore francese che non ha partecipato all’avanguardia, ma ha sviluppato un suo linguaggio cosiddetto neoclassico, molto raffinato, in realtà, e quindi è anche l’autore de “I dialoghi delle Carmelitane”. È stato un compositore vicino a certe problematiche della Chiesa. Ho pensato che con questi appuntamenti si potesse tracciare un percorso dal tardo Seicento strumentale fino, praticamente, al nostro tempo».
Le bacchette e gli interpreti. «Caterina Centofante è la direttrice che aprirà la stagione, aveva debuttato a Padova una decina di anni fa e si occupa soprattutto di musica del Novecento. Oggi le figure di donne che dirigono, per fortuna, sono diventate una normalità e mi fa piacere che in questo contesto ci siano delle direttrici. Michele Marco Rossi, violoncellista, e Samuele Telari, fisarmonicista, di cui abbiamo già parlato, sono due solisti che avevo conosciuto al Ravenna Festival con l’orchestra Cherubini, proprio nel pezzo della Gubaidulina, sono due giovani talenti e mi sembra giusto sostenerli. Il 12 settembre ci sarà Nima Keshavarzi, giovane direttore di origini persiane e fiorentino di adozione, al suo debutto con l’OPV, mentre il doppio concerto conclusivo (25 e 26 settembre, ndr) sarà diretto dalla giovane Mimma Campanale: diciamo che “In Principio” è anche l’occasione per avere questo aspetto di esplorazione dei giovani musicisti».
Quale sarà il brano più impegnativo e quale l’occasione di ascolto più rara per il pubblico? «Sicuramente “La Passione” di Malipiero. Mi attendo una riscoperta e spero in una risposta importante, questa “Malipiero Renaissance” che abbiamo avviato con “La Cena”, eseguita a Rovigo la scorsa Pasqua, passa attraverso la produzione di musica sacra del compositore, legato negli anni Sessanta agli ambienti padovani del Conservatorio e dell’Università. “La Passione” e “La Cena” formano una specie di dittico. Credo che il coinvolgimento di un coro con dei solisti e un’orchestra sia l’appuntamento più atteso e mi auguro di poter presentare almeno entro il prossimo anno anche il “San Francesco”, un lavoro, secondo me, rivelatore di una specie di crocevia di come la musica italiana guardava agli sviluppi europei all’inizio degli anni Venti, c’era una sorta di divisione che in quel momento avveniva in Europa tra l’idea di un neoclassicismo, e quindi di una crisi della musica che poteva rinascere solo attraverso le scene del passato, e invece poi quello che saranno le avanguardie, quindi la sperimentazione e l’abbandono del passato in senso di patrimonio culturale. Questo è stato un dissidio piuttosto cruciale che Malipiero ha vissuto sulla propria pelle, perché all’inizio degli anni Trenta Malipiero è un compositore già cinquantenne, quando ancora la musica europea e italiana sta prendendo delle direzioni che poi saranno quelle del Secondo Dopoguerra. Non esiste una scuola veneta del Novecento però sicuramente possiamo dire che Malipiero è il caposcuola di una serie di figure innovative e cruciali per la musica del secondo Novecento in Veneto e cioè Bruno Maderna, che è suo allievo, Luigi Nono, che è allievo a sua volta di Maderna e che frequenta Malipiero già negli anni Sessanta, e Franco Donatoni che è un compositore veronese scomparso nel 2000 e che ha avuto una grande influenza sia compositiva che didattica nella musica italiana del Secondo Dopoguerra».