Mosaico
“Con Michael Triegel davanti al suo polittico di Naumburg, che per i prossimi due anni ha trovato “asilo ecclesiastico” in Vaticano. Fino a quando questo altare di Cranach-Triegel potrà tornare a casa nel coro occidentale della cattedrale di Naumburg, lo visiterò il più spesso possibile nella chiesa del Campo Santo Teutonico in Vaticano! Sono rimasta molto colpita dal suo san Pietro e da Dietrich Bonhoeffer, di cui allego anche alcune foto”. Nelle foto che Kerstin, guida turistica di lingua tedesca a Roma, ha pubblicato sul suo profilo Facebook, si nasconde una parabola di arte e vita. Che proviamo a raccontare.
“Ho il passaporto italiano e un cuore mediterraneo/ Working class hero con un amore spontaneo/ (…) Come posso io/ Non celebrarti, vita?/ Oh vita/ Oh vita”. È il 1° dicembre 2017 quando esce “Oh, Vita!”, il quattordicesimo album di Jovanotti, registrato in studio, ma vissuto in strada. Così come il video ufficiale del brano, che il cantautore italiano ha girato nei pressi del Vaticano, in quelle strade che lo hanno visto crescere. Suo padre Mario Cherubini lavorava nel Corpo della Gendarmeria vaticana e la famiglia viveva in un appartamento a poche decine di metri di distanza dalle mura vaticane. Tra i tanti volti immortalati nel video di “Oh, Vita!” non passano inosservati gli occhi profondi di Burkhard, occhi che si facevano spazio in mezzo alla lunga barba incolta, incorniciata dall’iconico berretto da basket e avvolti nella nuvola di fumo che si levava dalla sigaretta, stretta tra dita rese nodose dal tempo e dalle fatiche della vita.
Burkhard Scheffler era nato a Gladbeck, città della Renania Settentrionale – Vestfalia, in Germania, il 1° maggio 1961. Era arrivato in treno a Roma attorno al 2010, quando aveva circa 50 anni e ancora un po’ di soldi in tasca. Poi i soldi sono finiti ed è rimasto a vivere per le strade del quartiere che confina con il Vaticano. Lui che in Germania faceva l’idraulico, era divenuto un senzatetto in un Paese di cui non conosceva la lingua e non avrebbe mai imparata. D’altronde, chi oggi si metterebbe a fare quattro chiacchiere con un senzatetto, che per di più non parla italiano?
Per dieci anni Burkhard ha vissuto in via delle Fornaci, a pochi passi da San Pietro – raccontava la giornalista Gudrun Sailer dalle colonne dell’Osservatore Romano –. A dargli da mangiare erano le Missionarie della Carità e i volontari della Comunità di Sant’Egidio, che gestiscono le mense intorno a piazza San Pietro, ma alcuni gestori di bar, che conoscevano Burkhard come un uomo discreto, timido e silenzioso. Il denaro di cui aveva bisogno per la birra e le sigarette gli veniva dato da passanti compassionevoli, molti dei quali tedeschi, come lo era lui. Dormiva per strada, sopra la ventilazione di un hotel. Non voleva trascorrere la notte in strutture d’emergenza per senzatetto. “Mi ero appena trasferita con la famiglia in questo quartiere di Roma e ogni tanto, quando portavo mia figlia all’asilo o usciva lei, vedevo quest’uomo la cui teutonicità era in qualche modo evidente – ricorda Sailer sull’Osservatore – la barba bionda, gli occhi chiari, l’andatura spigolosa e persino lo zaino. A un certo punto mi sono avvicinata e, da quel momento, Burkhard ha fatto parte della nostra vita quotidiana. Se avevo tempo, mi fermavo qualche minuto a chiacchierare, a volte gli offrivo caffè e cornetto. Eravamo praticamente vicini di casa. Si può dire così, anche se lui la casa non ce l’aveva?” Gudrun Sailer ricorda le sue mani, sempre calde anche in inverno. “Me ne accorgevo quando gli davo dei soldi. Le mie invece erano sempre fredde. Ci scherzavamo su. La sera pregavamo per lui, mia figlia ed io. E ci siamo interrogate su di lui. All’improvviso ci sono sorte delle domande. Su ciò che conta e su ciò di cui si ha veramente bisogno. Ecco la scuola di Burhard”.
E poi arriva il covid. Tutti rimaniamo chiusi in casa. Chi la casa ce l’ha riorganizza le sue giornate tra home working e lezioni scolastiche online. Chi la casa non ce l’ha sprofonda nella disperazione. Burkhard commette quello che si può interpretare solo come un atto di disperazione. Una mattina di maggio minaccia con un coltello un passante che non voleva dargli l’elemosina. Processato per direttissima, il giudice lo condanna a più di tre anni di carcere. “Non lo vedevo da tempo in giro – ricorda Sailer – e ho iniziato a chiedere di lui ai cappellani, alla Comunità di Sant’Egidio e ai carabinieri, senza esito. Solo per caso ho scoperto che non era in Germania, come sperato, ma nel carcere di Regina Coeli”. Sailer inizia a mandargli dei soldi in prigione, per la birra e le sigarette, ma non ha funzionato a lungo. I vaglia postali hanno iniziato a tornare indietro. Ma al tempo stesso emerge una rete silenziosa e nascosta di “amici” di Burkhard. “C’era il sacerdote tedesco che lo andava a trovare in prigione, c’era quello che mi aveva dato del denaro per lui, un’amica che lo conosceva e voleva aiutarlo; il suo difensore d’ufficio ha fatto per lui più del dovuto”.
Trascorrono due anni e mezzo e Burkhard viene rilasciato per buona condotta. Doveva essere espulso e rimandato in Germania. “Qualche giorno dopo – racconta Sailer – come se nulla fosse, Burkhard era seduto sulla strada sotto casa nostra! Gioia e domande. Lui non aveva capito bene la questione dell’espulsione. Ma era d’accordo: basta Roma, voleva tornare a casa”.
È la stessa Sailer che aiuta l’uomo a preparare le carte al consolato dell’ambasciata tedesca. Il modulo era pronto nella borsa della giornalista tedesca, quando il giorno dopo legge che non ne avrebbe avuto più bisogno. Nella notte del 25 novembre 2022, in un giaciglio improvvisato in via Pio VI, le mani di Burkhard sono diventate fredde. Era tornato a casa.
Dopo due anni e mezzo trascorsi in carcere, protetto dal rigore dell’inverno, il corpo di Burkhard, già provato dalla vita, non era più allenato a difendersi dal freddo e dall’umidità. Il suo nome si è andato ad aggiungere a quello degli altri otto senzatetto che, nel 2022, sono morti di freddo a Roma.
La morte di Burkhard aveva colpito profondamente Papa Francesco, che lo aveva citato per nome nell’Angelus della domenica successiva (“Burkhard Scheffler morto tre giorni fa qui sotto il colonnato di piazza San Pietro: morto di freddo”) e il 2 aprile 2023, durante l’omelia della Domenica delle Palme, lo aveva portato da esempio: “Penso a quell’uomo cosiddetto ‘di strada’, tedesco, che morì sotto il colonnato, solo, abbandonato. È Gesù per ognuno di noi”.
L’Arciconfraternita del Campo Santo Teutonico presso San Pietro aveva accettato fin da subito di seppellire Burkhard nella propria tomba dei pellegrini. Nel frattempo fedeli tedeschi e olandesi avevano offerto donazioni per la cremazione, che era a carico del Comune di Roma. Burkhard, che era stato battezzato come protestante, è stato sepolto nel Camposanto Teutonico venerdì 16 giugno 2023.
Michael Triegel è un pittore, illustratore e grafico tedesco che vive a Lipsia. Nato il 13 dicembre 1968 a Erfurt, i suoi dipinti sono fortemente influenzati dall’arte rinascimentale. Nel 2010 viene incaricato di dipingere un ritratto ufficiale di Benedetto XVI, privilegio concesso solo a pochi artisti contemporanei. Tra il Papa e il pittore nasce un sentimento di stima reciproca. Nel 2014 Triegel viene battezzato e da allora dipinge soggetti cristiani.
Quando Triegel compie cinquant’anni, nel 2018, incontra a Roma Burkhard Scheffler fuori da una chiesa nel quartiere di Trastevere. “Mi sono reso conto – ha detto l’artista ai media vaticani – che dando l’elemosina cercavo di comprarmi la coscienza pulita. Ma poi lui mi ha guardato. In quegli occhi c’era tutta una vita”. Gli chiede di posare per lui, dipingendolo dal basso “come si fa con gli imperatori e i papi”.
Qualche anno più tardi, nel 2020, il volto di Burkhard riappare quando Triegel viene incaricato di dipingere una pala d’altare per la cattedrale evangelica di Naumburg. Il pannello centrale dell’altare a portelle creato attorno al 1520 da Lucas Cranach (1472-1553) era stato distrutto durante la Riforma. A Triegel il compito di realizzarne uno nuovo. Il pittore di Lipsia realizza una composizione in cui viene raffigurata la Madonna con il Bambino, circondata da dieci santi, tra i quali compaiono un ebreo al muro del pianto nei panni di san Paolo e Dietrich Bonhoeffer. L’apostolo Pietro, con le chiavi del Regno, ha il volto di Burkhard Scheffler.
Dal 2022 la pala di Naumburg è oggetto di discussione. Gli esperti dell’Organizzazione mondiale della cultura Unesco e dell’ICOMOS criticano il fatto che l’opera di Triegel risulti troppo dominante rispetto all’architettura medievale e alle vetrate del coro occidentale. Hanno provato a spostarlo nel transetto nord, ma la cosa non ha trovato il consenso della comunità. Ed ecco che, con la mediazione dello storico dell’arte Andreas Raub, a fine settembre di quest’anno la pala ha lasciato la Germania alla volta del Vaticano. Per due anni sarà esposta nella chiesa del Camposanto Teutonico, dove è possibile ammirarla dal lunedì al sabato, dalle 7 alle 13. Un “prestito” con il quale i responsabili intendono guadagnare tempo per trovare una soluzione definitiva.
E così Burkhard è tornato in Vaticano. Il dipinto che lo raffigura nei panni di San Pietro è stato sistemato a pochi metri dalla tomba – unico luterano presente nel cimitero – del senzatetto morto per assideramento sotto il colonnato di San Pietro nel 2022. “Per me tutto questo ha dell’incredibile – ha commentato nei giorni scorsi Triegel –. Ammetto che a volte mi sono sentito scoraggiato e ho pensato che nessuno parlasse più di ciò che volevamo trasmettere. Ma ora, sapendo che questo povero uomo, morto di freddo nella ricca Europa, ha un nome ed è ricordato, sento che l’intero progetto di Naumburg ha ritrovato il suo significato”.