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mercoledì 19 Aprile 2023

Il sodalizio dei Paesi Ue, progetti “con il naso all’insù”

Dall’Esa, l’Agenzia spaziale europea, ai programmi di difesa che sfidano i colossi statunitensi

Redazione
Redazione

C’ è il Next Generation EU, più noto in Italia con l’acronimo di Pnrr, ma ci sono anche i piani di coesione e i rispettivi fondi come l’Erdf (Fondo europeo di sviluppo regionale), ma anche il React-EU che a sua volta risponde alla crisi originatasi con la pandemia e che solo per l’Italia ha finanziato e co-finanziato più di 14 miliardi di euro nel biennio 2021 e 2022. L’Unione è spesso sinonimo solo di piani di investimento e di finanziamento dai nomi e dagli acronimi improbabili la cui pervasività è totale in agricoltura ma forte anche in altri settori, come lo spazio e la difesa.

Spazio, ultima frontieraCon 22 Paesi membri, l’Esa (acronimo che sta per European Space Agency) è l’Agenzia europea destinata a coordinare il programma spaziale comune. Di fronte agli Stati Uniti che investono pro-capite il triplo di ciò che fa l’Unione, avere un programma comune è l’unica speranza di spendere in modo efficiente i 5,72 miliardi di euro del budget dell’Unione per la corsa allo spazio contando anche sulla logica della ripartizione geografica della spesa. L’Esa, insomma, reinveste nei singoli Paesi un importo pressoché equivalente al contributo ricevuto dal paese stesso, quella che in ragioneria si chiamerebbe una partita di giro. L’Italia per esempio ospita il Centro per l’osservazione della Terra il cui ultimo frutto si chiama Iride e prevede la messa in orbita bassa di un satellite capace di assicurare il monitoraggio marino e costiero, verificare la qualità dell’aria, monitorare i movimenti del terreno, la copertura del suolo, e il clima. «Un risultato che è il primo dei traguardi stabiliti dal Pnrr: l’invito ora è di lavorare con costanza e con il massimo impegno affinché l’Italia possa usufruire della costellazione Iride dal 2026 – ha spiegato il ministro delle Imprese, Adolfo Urso – La presenza di tutta la filiera che parteciperà alla realizzazione della costellazione satellitare conferma l’ampia collaborazione in questo progetto che avrà ricadute importanti sull’intero territorio italiano».

Un aereo per tutti, anzi dueCon l’aereo americano – ma assemblato anche in Italia, a Cameri – F-35 Lightning II, l’aeronautica italiana e le principali forze armate europee e mondiali sono approdate alla quinta generazione dei caccia a reazione Un velivolo intorno al quale è destinata a imperniarsi la politica di difesa continentale per i prossimi decenni fino a quando, almeno, non sarà disponibile la sesta generazione. Il piano si chiama Future Combat Air System e vede due consorzi europei prepararsi a sfidare i giganti americani del settore. Da una parte i franco-tedeschi con il marginale contributo spagnolo, dall’altra gli italiani di Leonardo con i britannici di Bae System, gli svedesi di Saab e i giapponesi di Mitsubishi. In ballo un progetto i cui costi stimati si attestano sui 300 miliardi di euro. «In passato ho paragonato gli eserciti europei ai bonsai giapponesi per sottolineare che, a partire dalla crisi finanziaria del 2008, abbiamo ridotto le nostre forze trasformandole in versioni in miniatura, e l’abbiamo fatto senza alcun tipo di coordinamento. Non possiamo permetterci di ripetere gli errori del passato – spiegava in una nota Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – Dobbiamo rispondere alle esigenze a breve termine investendo e ricorrendo di più agli appalti congiunti. In parole povere: acquistando di più e insieme. Oltre 1 anno di guerra e di sostegno prestato all’Ucraina hanno messo in luce l’inadeguatezza delle nostre scorte e la fragilità delle nostre catene di approvvigionamento». Non spendere di più per la difesa, ma spendere meglio è la conclusione della nota dell’Alto rappresentante: la guerra in Ucraina ha palesato i colli di bottiglia di una difesa europea che ha le idee, i fondi e le organizzazioni sulla carta sufficienti per essere efficace ma ha scontato per decenni un deficit di attenzione da parte della politica che ha preferito coltivare tanti piccoli orti nazionali invece della campagna intera, comune.

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