Fatti
«Solo un grande spavento che però ci ha fatto capire ancora di più il valore di questa esperienza». Chiara Segafredo, padovana, era fra i 110 attivisti italiani che sono stati sfiorati dai bombardamenti russi in Ucraina dello scorso 4 ottobre. «Una notte molto difficile», l’ha descritta così il governatore della regione di Leopoli, Maksym Kozytsky, con quello che si potrebbe definire un eufemismo visto che sull’Ucraina sono piovuti circa 50 missili e 500 droni in poche ore. Il raid compiuto dai russi nella Regione ha lasciato sul campo una decina fra morti e feriti e portato l’aeronautica polacca a schierare jet al confine, temendo incursioni.
Una notte come tante, troppe ce ne sono state in questi anni di guerra ma che questa volta fa particolarmente notizia sia per il coinvolgimento, indiretto, degli italiani di ritorno dal Giubileo della Speranza sia perché a Sumy un altro treno è stato colpito dai russi causando un morto e 30 feriti. L’’attacco è stato compiuto non solo verso i civili ma con una tecnica ben nota: il primo bombardamento sull’obiettivo designato, il secondo sui soccorritori.
«Eravamo nel treno e dovevamo fermarci a Leopoli per agganciare un altro vagone – continua Segafredo – Erano intorno le 2-3 di notte, non eravamo preoccupati, alcuni di noi dormivano e abbiamo sentito il treno che si fermava. Poi abbiamo iniziato a sentire rumori come dei botti, non poteva essere qualcosa di molto lontano da noi. Abbiamo visto i colpi della contraerea che partono per buttare giù dei missili». Qualcosa esplode a poca distanza dal treno e lo spostamento d’aria si fa sentire, soprattutto nella notte, soprattutto a poca distanza dal confine con la Polonia teoricamente inviolabile. Solo un grande spavento per i viaggiatori, un monito per tutti che la situazione in Ucraina è tutto fuorché pacificata e il rischio, concreto, che di questa missione di pace si conoscano solo gli ultimi istanti: «Abbiamo incontrato quattro diverse organizzazioni che si occupano di giustizia riparativa, un’altra associazione che si occupa della lotta alla corruzione – racconta ancora Chiara Segafredo, ricordando come la società civile ucraina sia riuscita con manifestazioni di piazza a influenzare il processo legislativo in materia – Poi a Kharkiv abbiamo incontrato due diversi gruppi di scout ed è stato molto significativo: nella Regione è da tre anni che le scuole sono chiuse, ci sono bambini che tra Covid e guerra che non hanno mai avuto l’occasione di socializzare. E anche trovarsi tra scout non è semplice, devono trovarsi in piccoli gruppi, al massimo una ventina, e se scatta l’allarme devono scendere nel bunker».
L’obiettivo rimane costruire una pace duratura e, quindi, giusta. «La cosa bella è che noi siamo andati per dare un messaggio di pace – conclude Chiara – Il focus per noi è che in Ucraina ci deve essere certo una difesa armata, ma dobbiamo lavorare come società civile perché si arrivi all’istituzione di corpi civili di pace, non basta la difesa militare».