FattiIl Governo ha varato un decreto-legge che ridefinisce i Paesi “sicuri” di provenienza dei migranti. Intanto, i 12 uomini provenienti da Egitto e Bangladesh sono rientrati in Italia
Via Camerun, Colombia e Nigeria, rimangono Ghana, Costa d’Avorio, Algeria, ma soprattutto (al fine di questa “storia”) Bangladesh ed Egitto. È la lista dei 19 Paesi, non più 22, che il Governo italiano definisce sicuri per le persone migranti. La lista è stata inserita in un decreto-legge approvato alacremente, lunedì 21 ottobre, dal Consiglio dei ministri convocato dalla premier Giorgia Meloni e che di fatto autorizza ad analizzare le richieste d’asilo avanzate dai cittadini provenienti da questi Paesi con una procedura accelerata, mentre il richiedente asilo si trova in uno stato di detenzione. Il decreto-legge, che in quanto tale ha un “potere” giuridico e politico maggiore, è stato necessario per provare a superare lo scoglio normativo, sollevato dai giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma, che ha portato i primi 12 migranti (che facevano parte di un gruppo originario di 16 persone, dieci provenienti dal Bangladesh e sei dall’Egitto) trasportati in Albania, dove il Governo italiano ha costruito un centro di accoglienza a Gjader, a far rientro in Italia. Il tribunale di Roma, infatti, nei giorni scorsi non aveva convalidato i decreti di trattenimento dei 12 richiedenti sulla base di una sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia dell’Unione Europea, stabilendo che aveva preminenza sulla norma italiana. Il tutto ruota sulla definizione di “sicurezza” dei Paesi di provenienza: la sentenza (cui segue una direttiva europea di 11 anni fa, il cui focus era proprio su come comportarsi in caso di migranti non in possesso di ragioni fondate per scappare) ha stabilito che possono essere considerati «Paesi d’origine sicuri» solo quelli in cui il rispetto dei diritti umani sia riconosciuto «in maniera generale e uniforme» su tutto il territorio nazionale e per tutte le persone. Egitto e Bangladesh, da dove provengono i 12 migranti, non rientrerebbero in questa specifica, da qui “l’alt” e il rientro in Italia. «Capisco le intenzioni del Governo italiano di interrompere il lavoro sporco degli scafisti. Ma non sono d’accordo sul metodo, che non è certo quello di deportare persone in gabbie in un altro Paese che non sia l’Italia e fuori dall’Unione europea – aveva affermato al Sir Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio – Noi crediamo fermamente dall’esperienza che i corridoi umanitari e i flussi regolari siano veramente l’unica risposta che si può dare agli scafisti e a tutto ciò che sta intorno all’immigrazione irregolare». La compatibilità della norma italiana con quella europea è il vero nodo della questione: la lista dei Paesi in cui posso essere rimpatriati i profughi nel caso in cui non avessero titolo per la protezione internazionale, è definita ora con legge (che dovrà essere firmata dal presidente Mattarella) e non soltanto con un decreto interministeriale come avveniva in precedenza. Al momento, tuttavia, non ci sono certezze sull’applicazione.
Dell’iniziale gruppo di 16, durante i controlli in Albania, è emerso che due erano egiziani in cattive condizioni di salute, gli altri due erano sedicenni provenienti dal Bangladesh. In Albania, l’Italia ha costruito un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (Cpr) da 144 posti.
