Luca Di Tomasso e Maria Cristina Borromeo sono una coppia di sposi fiorentini che ha scelto – decisamente – di fidarsi di Dio; insieme, una decina d’anni fa, hanno lasciato la Toscana, loro terra d’origine, unitamente a un lavoro e agli affetti familiari, per trasferirsi a Valnogaredo, piccolo borgo nel Comune di Cinto Euganeo, e cominciare l’esperienza di accoglienza in una casa famiglia, aperta dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. Oggi, entrambi quarantaseienni, festeggiano questa tappa di dieci anni, insieme al centenario della nascita di don Oreste Benzi, il prete riminese degli ultimi, colui che ideò le case famiglia, l’«infaticabile apostolo della carità» come lo definì papa Benedetto XVI. «Abbiamo davvero “gettato le reti”! Dopo il matrimonio, avvenuto nel 2008, ci siamo chiesti che famiglia volevamo essere, ci siamo interrogati su come potevamo farci “prossimi” e ci è sembrato che il carisma della Comunità Papa Giovanni XXIII rispondesse concretamente alla nostra ricerca – racconta la coppia – Il nostro progetto iniziale prevedeva di rimanere in Toscana ma il nostro responsabile di zona ci chiese fino a che punto fossimo disposti a cambiare, a lasciare tutto, pur di realizzare la nostra famiglia accogliente; fu così che, nel dicembre del 2014, venimmo a vedere la bella casa di Valnogaredo, la stessa dove oggi viviamo, e in soli sei mesi ci trasferimmo in Veneto». Quando arrivano nei Colli Euganei, Luca e Maria Cristina sono già genitori di due figli, Marta e Isaia, e di un terzo che hanno accolto, Francesco. La famiglia inizia la nuova vita, l’inserimento in comunità avviene in modo naturale, grazie ai figli che frequentano la scuola e al fatto che la casa dove vivono è proprio la canonica, accanto alla chiesa del paese. «Abbiamo trovato un territorio accogliente, sia nei nostri confronti che verso le persone che nel tempo abbiamo accolto – continuano i coniugi Di Tomasso – Se guardiamo indietro, possiamo dire che rifaremmo la stessa scelta, anche se le fatiche non sono mancate, anzi: all’inizio c’è l’entusiasmo, ma poi ci si scontra con la realtà! Convivere non è sempre facile, ognuno di noi ha dei limiti umani e le regole in casa sono necessarie, soprattutto con gli adolescenti: ma ci rendiamo conto che questa è la realtà per cui eravamo portati, certamente un modo diverso di vivere: aprire le porte di casa libera dall’egoismo, dal ripiegarci in noi stessi, apre alla generazione e alla vita». In questi dieci anni la coppia ha accolto una ventina di persone, per lo più minori, per periodi lunghi o per passaggi brevi, chiamati, questi ultimi, di pronta accoglienza. Oggi vivono insieme ai due figli naturali e a sei persone provenienti da situazioni difficili, che sono accolte con continuità. Quando viene loro proposto di dare ospitalità a un nuovo membro, i coniugi si consultano tra loro, con i figli e con le persone che in quel momento sono presenti in casa: il “sì” deve essere di tutti i membri della famiglia, ponderato e sostenibile. «Nei confronti dei bambini che accogliamo, la nostra è una genitorialità responsabile, non ci sostituiamo ai genitori biologici; abbiamo ospitato anche ragazze madri, persone al termine di programmi terapeutici, altre con disabilità fisiche o intellettive. Ci sosteniamo grazie al sistema ideato da don Benzi per le case famiglia, attraverso cioè un’amministrazione comune che richiama un passo degli Atti degli apostoli: “Mettevano tutto in comune e prendevano secondo il proprio bisogno”. Gli aiuti, poi, non mancano, come quella volta in cui ci è stato comunicato che in tempi brevi sarebbe giunta una bimba di quattro mesi, ma noi non avevamo un passeggino; abbiamo scritto un messaggio su una chat di genitori e in pochissimo tempo ce n’è arrivato più di uno…». Luca Di Tomasso, quando viveva a Cerreto Guidi, il paese fiorentino d’origine, era artigiano, oggi è psicologo (e psicoterapeuta in formazione), mentre Maria Cristina, prima di iniziare con l’affidamento, lavorava in una cooperativa che gestiva strutture residenziali per persone con problematiche psichiatriche. Oggi sono impegnati a tempo pieno nelle attività di accoglienza e supporto all’accoglienza per la Comunità Papa Giovanni XXIII, l’uno come psicologo e coordinatore di iniziative per adulti, l’altra come educatrice e responsabile della casa famiglia, che ha ottenuto anche l’accreditamento da parte dell’Azienda sanitaria locale. «Il nostro è un percorso umano e spirituale – concludono – cerchiamo sempre di leggere la realtà e le singole situazioni da un punto di vista umano prima, e spirituale poi. Ci impegniamo per fare il bene, con amore, senza aspettarci nulla in cambio; il Vangelo è vita quotidiana, tutti siamo servi inutili. Poi, molto spesso, le soddisfazioni arrivano e… si riceve il centuplo!»
«Nel territorio siamo inseriti bene: collaboriamo alla vita della parrocchia e del Comune, in un clima di stima reciproca con le persone – sottolinea la coppia – In casa diamo risposta a ragazzi con disabilità, mamme con figli in difficoltà, minori in situazioni pregiudizievoli». Le case famiglia della Papa Giovanni XXIII prevedono la presenza di “veri” genitori, più che di operatori a turno.