FattiMa quale casa? è il gruppo apartitico che vuole inserire, tramite proposta di legge popolare, il diritto all’abitare nella nostra legge fondamentale
Inserire il diritto alla casa tra i diritti costituzionali. Garantire cioè che nella nostra Costituzione sia scritto che avere un’abitazione è un diritto riconosciuto per impegnare tutti, le istituzioni ma anche i privati, a renderlo effettivo. È questo l’obiettivo del comitato apartitico “Ma quale casa?” che è attivo da fine 2024 e che ha raccolto nelle ultime settimane diverse adesioni anche in Veneto: «La nostra proposta vuole introdurre il riconoscimento del diritto all’abitazione in Costituzione e l’attuazione delle politiche pubbliche necessarie a tutelarlo» scrivono i promotori della proposta di modifica costituzionale. Che partono da un dato evidente a tutti: avere un tetto sopra la testa è giusto. L’articolata proposta di legge di iniziativa popolare (che può essere letta integralmente sul sito maqualecasa.it e sottoscritta) punta alla modifica degli articoli 44, 47 e 117 della Costituzione in materia di riconoscimento e garanzia del diritto all’abitazione. In particolare si propone di inserire nell’articolo 44 un comma per considerare l’abitazione un bene primario per una vita libera e dignitosa, nell’articolo 47 aggiungere “o al godimento” dopo la parola proprietà e nell’articolo 117 un richiamo ai programmi di edilizia residenziale pubblica. «La situazione abitativa è sempre più precaria e negli ultimi mesi è aumentato in Veneto il numero degli sfratti per la conclusione del periodo di locazione. Inquilini in affitto da tanti anni che non si vedono rinnovato il contratto da proprietari che legittimamente scelgono altre strade, in genere quella del mercato degli affitti brevi, o che si vedono proporre canoni inaccessibili – spiega Giulia Zago, da poco riconfermata segreteria generale di Sicet Veneto, il Sindacato inquilini casa e territorio della Cisl – Abbiamo incontrato una pensionata che dopo anni di affitto a 500 euro al mese si è vista chiedere 850 euro, cifra non sostenibile con una pensione da mille euro e la difficoltà di trovare una nuova abitazione in un mercato bloccato». Perché sul fronte dell’offerta non si muove quasi nulla, sottolinea Zago. L’edilizia pubblica è asfittica, con l’Ater che non riceve dalla Regione risorse sufficienti per interventi consistenti e che dai canoni agevolati a 80 euro al mese non recupera nemmeno i fondi per l’ordinaria manutenzione, e con i Comuni che possono fare poco anche se «qualcosa si muove a Padova, con la prossima messa a disposizione di circa 150 alloggi». Nel settore privato domina il business degli affitti brevi che non vanno condannati, secondo la segretaria regionale Sicet, ma sicuramente regolamentati: «Il richiamo di guadagni maggiori dalle locazioni turistiche è forte, in particolare nei Comuni ad alta densità abitativa e a crescente attrattività turistica come Padova. Necessario diventa però limitare le licenze in modo serio e l’adozione del Cin, il codice identificativo nazionale per identificare in modo univoco gli alloggi destinati a locazioni brevi non sembra sufficiente». La proposta del comitato apartitico “Ma quale casa” sta raccogliendo in Veneto diverse adesioni di associazioni sia da chi è attento alle fasce sociali più deboli e che di quanti si occupano delle esigenze degli studenti universitari fuori sede. Il consigliere regionale del Partito Democratico Jonatan Montanariello ha, inoltre, portato una mozione a sostegno dell’iniziativa all’attenzione del Consiglio regionale.
La Cgil Veneto parla di oltre 20 mila domande giacenti di abitazioni di edilizia residenziale pubblica nel 2024 a fronte dell’assegnazione di 135 alloggi. Secondo la Regione, invece, sono 10 mila domande giacenti e 1.300 alloggi assegnati.
La Regione Veneto ha stanziato 5,5 milioni di euro per la bonifica e la messa in sicurezza di siti contaminati, pubblicando un bando rivolto a Comuni e Province. «Con questo bando – spiega l’assessore all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin – intendiamo rafforzare il nostro impegno concreto nella difesa dell’ambiente e nel difficile compito di risanare aree compromesse dall’inquinamento, i cosiddetti “siti orfani”, anche in assenza o inadempienza dei soggetti responsabili». I fondi, aggiunge l’assessore, potranno coprire fino al 100 per cento della spesa sostenuta per interventi di bonifica, analisi di rischio e progettazione, contribuendo anche al completamento di operazioni già avviate nell’ambito del Pnrr. «Un investimento sulla salute pubblica, sicurezza ambientale, ma anche sulla rigenerazione del nostro patrimonio».
