Mosaico
La Città della moda, un progetto mai davvero decollato
L’idea iniziale prevedeva 118 mila metri quadri di superficie, di cui 12 mila destinati a negozi, 750 i posti auto al coperto e 250 all’aperto. Anche un museo della moda
L’idea iniziale prevedeva 118 mila metri quadri di superficie, di cui 12 mila destinati a negozi, 750 i posti auto al coperto e 250 all’aperto. Anche un museo della moda
Una mezza rotonda mai ultimata e un boschetto in piena campagna che cela “qualcosa” allo sguardo di chi distrattamente passa lungo via Piove, superato l’abitato di Paluello (provincia di Venezia), diretto verso la Riviera del Brenta. Quella che fu o che sarebbe potuta diventare la Città della Moda è tutta qui: un’incompiuta come ce ne sono altre in questo francobollo di terra fra i più densamente urbanizzati d’Italia, un lembo di provincia abbandonato a se stesso come nelle immediate vicinanze non mancano, a cominciare da quello che fu il Casello 9 e il piccolo villaggio che lo circonda, strangolato dalla viabilità solo qualche anno fa. «C’è Verve sul Brenta» titolava un pezzo di ItaliaOggi del 2009 a firma di Massimo Favaro e a rileggerlo oggi non si può che cogliere una certa ironia involontaria perché qui, sulle rive del Naviglio Brenta, se mai c’è stato un periodo di autentica verve è da correlarsi più alla sagra parrocchiale che ogni estate anima il piccolo centro di Paluello che a un acronimo sconosciuto ai più come V.E.R.V.E., ovvero Venice Escape River Vacation Experience. Un progetto faraonico da 120 milioni di euro di allora immaginato dall’imprenditore Francesco Fracasso con il gotha del mondo della scarpa, che a queste latitudini è ben più che semplice attività produttiva ma diventa quasi una forma mentis, rappresentato da Acrib e Politecnico Calzaturiero. «L’ambizioso progetto ha ottenuto le necessarie autorizzazioni, in primis quella della regione Veneto e del Comune di Fiesso d’Artico: via libera quindi ai lavori, iniziati a tutti gli effetti due settimane fa – continuava così l’articolo di Massimo Favaro – Realizzare nel mezzo della campagna veneta un investimento di qualità architettonica, economicamente redditizio e all’altezza delle ville della Riviera è una sorta di scommessa». Scommessa perduta o quantomeno sospesa perché l’ottimismo dei promotori è finito per arenarsi nella burocrazia e per essere coinvolto in quella stagione di attivismo civico e ambientalista che vide la popolazione residente della zona opporsi tanto al cosiddetto “corridoio plurimodale” – che comprendeva la camionabile Padova- Venezia, idea scartata, e l’elettrodotto ad alta tensione di cui sono iniziati di recente i lavori di realizzazione in un’inedita versione interrata – lungo le rive dell’incompiuta per eccellenza qual è l’Idrovia, quanto alla Romea commerciale e alla più celebre Veneto City che immaginava persino un paio di grattacieli a due passi dal Passante di Mestre. La logica di entrambi gli interventi urbanistici, Veneto City e Verve, travalica l’inglesismo per abbracciare l’ambizione di riunire in un unico luogo – benché i progetti fossero due e a poca distanza l’uno dall’altro – «attività direzionali, commerciali, ricettive, tecnologiche, del tempo libero, dell’istruzione e della formazione», come si legge nelle carte di qualche anno fa. Ambizione, idea coraggiosa o azzardo: se su Veneto City sventola bandiera bianca ufficialmente dal settembre 2021, sulla Città della Moda qualche speranza ancora rimaneva quando, nello stesso periodo, l’imprenditore Francesco Fracasso veniva intervistato dalla stampa. «Mollare o perseverare?» gli chiedeva Francesco Furlan dalle colonne de la Nuova Venezia nell’aprile 2021; «Io ci credo ancora – disse Fracasso – ma con volumi più contenuti». E mentre si attende di conoscere questi nuovi progetti (la terza rimodulazione di un’idea nata nel 2007) su internet sono ancora facilmente reperibili una buona quantità di immagini, di rendering grafici, in cui si mostra come sarebbe potuta diventare questa nuova città sospesa in un oceano di paesi. C’è anche una dichiarazione all’architetto Flavio Albanese, che di quel progetto fu mente e matita, nel già citato articolo di ItaliaOggi che riassume meglio d’ogni altra cronaca quant’è successo in questo lembo di terra: «La forza di questo progetto – spiegava l’architetto – sta nella sua totale debolezza, nella sua sensibilità a ogni spinta, frenata, rintuzzo del mercato o del fruitore». Appunto.