La spianata di Tor Vergata, ieri sera, è stata un crocevia di volti, lingue e storie: oltre un milione di giovani, giunti da ogni angolo del mondo per la Veglia di Preghiera del Giubileo dei Giovani 2025, hanno trasformato questo luogo in un’icona di speranza, un’epifania di Chiesa viva e universale. Papa Leone XIV, con la sua parola limpida e il suo carisma sobrio, ha offerto a questa moltitudine non solo un’esortazione, ma una visione: la cultura del Vangelo come risposta alle inquietudini dell’umanità contemporanea. Questo concetto, che ha attraversato il suo discorso come un filo rosso, non è un’astrazione teologica, ma una proposta socio-antropologica capace di rigenerare il mondo. La sfida, ora, è che la Chiesa traduca questa visione in un cammino ordinario, fatto di piccoli passi, di accompagnamento quotidiano e di una rinnovata fierezza della propria identità, per non lasciare senza risposta il grido di senso di questa generazione. Nel cuore della veglia, rispondendo alle domande di tre giovani – su amicizia, coraggio e senso della vita – Papa Leone ha delineato una cultura che non si limita a un insieme di valori, ma si fa stile di vita, relazione, progetto per l’umano.
In un’epoca segnata dalla frammentazione sociale e dall’individualismo, questa cultura si pone come un’antropologia alternativa: non una fuga dal mondo, ma un modo di abitarlo con profondità, radicati in Cristo. È una proposta che sfida le logiche di un’umanità spesso smarrita, che scambia la libertà con l’autonomia assoluta e il desiderio di infinito con il consumo effimero.
La cultura del Vangelo, così come delineata dal Papa, si configura come un paradigma che restituisce centralità alla persona, alla relazione e alla trascendenza. È una cultura che rifiuta l’antropocentrismo autoreferenziale, tipico di una modernità che ha smarrito il senso del mistero, e propone invece un umanesimo cristologico, dove l’uomo scopre la propria dignità nell’incontro con Cristo.
A Tor Vergata, i giovani hanno testimoniato questa sete di autenticità: nei loro silenzi davanti all’Eucaristia, nei loro canti, nelle loro domande coraggiose, hanno espresso un desiderio di appartenenza che non si accontenta di risposte preconfezionate, ma chiede una Chiesa che sia madre, maestra e compagna di strada.
Questa visione, tuttavia, non può esaurirsi nell’entusiasmo di una veglia. La Chiesa è chiamata a incarnare la cultura del Vangelo in un cammino ordinario, fatto di gesti concreti e di una pedagogia paziente. Non basta il fascino dei grandi eventi, per quanto necessari: la pastorale degli eventi, se non radicata in un accompagnamento quotidiano, rischia di lasciare i giovani orfani di una guida costante. Come il seme del Vangelo, che cresce silenziosamente nella terra (Mc 4,26-29), la cultura del Vangelo si costruisce nei piccoli passi: nelle comunità parrocchiali, nei gruppi di giovani, nei luoghi di formazione, dove la fede si intreccia con la vita. È l’arte dell’ascolto, del dialogo, della testimonianza viva, che permette ai giovani di scoprire Cristo non come un’idea, ma come una presenza che trasforma.
La fierezza della Chiesa, allora, non è un orgoglio sterile, ma la consapevolezza di portare un tesoro capace di rispondere alle domande più profonde dell’uomo: chi sono? Dove vado? Come posso essere felice? Questa fierezza si traduce in una missione: essere lievito in un mondo che, pur tra le sue contraddizioni, anela alla verità e alla bellezza.
Papa Leone ha invitato i giovani a essere “artigiani di una nuova cultura”, missionari di pace e di speranza. Ma questa missione non può essere lasciata al solo entusiasmo giovanile: la Chiesa deve accompagnarli, formando educatori e sacerdoti capaci di camminare con loro, di abitare le loro domande, di offrire il Vangelo come bussola per le scelte quotidiane.
Tor Vergata 2025 non è stata solo una celebrazione, ma una profezia: un milione di giovani che, sotto la croce di Cristo, hanno detto “sì” a una cultura che dona senso, che costruisce ponti, che abbraccia il povero e il diverso. La Chiesa, ora, è chiamata a raccogliere questo “sì” e a trasformarlo in un cammino di fede ordinario, radicato nella quotidianità. La cultura del Vangelo non è un’utopia, ma una realtà possibile, che si incarna in ogni gesto di carità, in ogni preghiera silenziosa, in ogni relazione autentica. Come ha detto Papa Leone, “Cristo è il nostro contemporaneo, cammina con noi”. Sta alla Chiesa, con i suoi giovani, rendere visibile questo cammino, passo dopo passo, per un mondo più umano e più divino.