Idee | Lettera.DChe cosa ci insegna lo sguardo cristiano contenuto nella recente lettera di Benedetto XVI sull’inchiesta indipendente sugli abusi nella diocesi di Monaco
Dopo aver fatto decantare le reazioni a caldo e gli entusiasmi, le critiche costruttive e quelle feroci, insieme ai commenti di chi vede “complotti” in ogni dove nella vita della Chiesa, è possibile tentar di cogliere ciò che di prezioso contiene la recente lettera del papa emerito Benedetto XVI. A distanza di alcuni giorni dalla sua pubblicazione, il breve testo uscito dal cuore di Joseph Ratzinger ci insegna ciò che non dovrebbe mai mancare in una comunicazione che proviene dalla Chiesa e che tratta temi così delicati. Innanzitutto, i fatti. La diocesi di Monaco di Baviera, dove Ratzinger fu arcivescovo dal 1977 al 1982, ha commissionato a uno studio legale indipendente un’inchiesta sugli abusi sessuali commessi ai danni di minori da chierici e religiosi. L’inchiesta abbraccia un arco temporale molto vasto che va dal Dopoguerra ad oggi, e ripercorre gli episcopati di sei cardinali arcivescovi. Al momento della sua presentazione, il 20 gennaio, tutta l’attenzione si è concentrata sull’operato di Ratzinger, al quale si contestano errori e sottovalutazioni nella gestione di quattro casi. In realtà, dal rapporto non emergono documenti o testimonianze che incolpino il futuro papa. In particolare, il fatto che Ratzinger effettivamente sapesse di accogliere in diocesi per una terapia un prete che si era macchiato di abusi, viene definito «probabile» nel corso della conferenza stampa, ma non vengono prodotte pezze d’appoggio. A far notizia è poi un errore di trascrizione commesso dagli esperti canonisti, autori della memoria difensiva di Ratzinger, nella quale si affermava che l’allora arcivescovo non era presente alla riunione in cui si decise di accogliere il sacerdote abusatore. Mentre dai documenti risulta il contrario. Pochi giorni dopo, Ratzinger riconoscerà pubblicamente l’errore involontario chiedendo scusa. Che si trattasse di un errore di trascrizione non voluto, lo dimostra un fatto: dialogando con Peter Seewald, autore di una biografia di Benedetto XVI recentemente pubblicata, lo stesso papa emerito aveva confermato la sua presenza a quella riunione. Dunque non si capisce perché avrebbe dovuto, in seguito, smentire la sua partecipazione.
Dopo alcuni giorni dalla pubblicazione del rapporto, Ratzinger ha dettato un messaggio che ci dice molto del suo sguardo di fede e della sua umiltà. Il papa emerito non è entrato nei dettagli dei casi. È un uomo giunto ai 95 anni d’età, con la mente lucida ma il corpo fragilissimo, che si esprime con un filo di voce. Non è certamente agevole per lui ricostruire i particolari di incontri o di riunioni avvenuti nel 1980. Però, anche se i documenti ci dicono che durante il suo breve episcopato in Baviera non sono state presentate segnalazioni o denunce, Ratzinger non si difende con questi argomenti. Mostra, invece, di assumere una responsabilità più grande, che è quella di tutti coloro che hanno ricoperto ruoli importanti nella Chiesa e che non hanno combattuto con la necessaria forza il turpe fenomeno degli abusi sui minori. È vero, proprio lui, prima da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi soprattutto da papa, ha promulgato leggi durissime contro la pedofilia clericale e ha dato un grande esempio ai confratelli vescovi incontrando più volte le vittime nel corso dei suoi viaggi apostolici, ascoltandole e piangendo con loro. Ma nella sua lettera, Benedetto XVI non rivendica nemmeno questo. Si presenta, invece, come un umile cristiano giunto oramai alla soglia della morte. Prende spunto dalla preghiera all’inizio della messa per parlare della «grandissima colpa», con un atteggiamento penitenziale lontano dal trionfalismo, dalle difese arroccate e dall’accusare gli altri denunciando complotti. Fa un suo personale esame di coscienza. Afferma di aver imparato, nell’incontro con le vittime, che «noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l’affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade». Esprime «profonda vergogna», «grande dolore» e «sincera domanda di perdono» per tutti gli abusi e gli errori, anche per quelli che si sono verificati durante il tempo del suo mandato nei rispettivi luoghi dove ha prestato servizio, in Germania e a Roma. Scrive, senza chiamarsene fuori, di sentirsi lui stesso interpellato dall’atteggiamento di chi ancora oggi sottovaluta il fenomeno: cioè da chi continua a dormire, proprio come facevano gli apostoli sul Monte degli Ulivi lasciando da solo Gesù a sudare sangue di fronte all’abisso del peccato. Chiede ai «fratelli e alle sorelle» di pregare per lui. Sono le parole di un cristiano, che domanda perdono senza sfuggire alla concretezza dei problemi e invita tutta la Chiesa a sentire come propria la ferita sanguinante degli abusi.
Andrea TornielliDirettore Editoriale dei Media della Santa Sede
