IdeeIn un tempo in cui la misura e la quantità sembrano dettare la regola per ciò che ha un significato o meno, sembra alquanto controcorrente ogni discorso che si pronunci in favore di un riconoscimento di una dimensione incommensurabile.
Che sia traccia del dolore dell’esistere o di un’estasi che travalica la semplice gioia di un soggetto, che si tratti del pensiero di un’origine irrappresentabile o l’anticipazione della propria fine, o ancora che esprima l’apparire del volto altrui, la venuta della persona amata, il levarsi di un nuovo giorno, o l’intuizione del divino, il “non integrabile” sfida il concetto. La ragione non domina ciò verso cui la parola “eccedenza” fa segno, come accade all’aggettivo “aorgico” usato dal poeta tedesco Friedrich Hölderlin (1770-1843) per dire il caos primordiale, il sublime della natura o il divino che irrompe. L’eccedenza del reale – che il reale è in se stesso – può pietrificare, come Medusa; a Perseo fu necessario uno scudo-specchio per non esserne distrutto. Nietzsche si è spinto forse più lontano di tutti nel descrivere una ispirazione a cui non ci si può sottrarre: «Un rapimento, la cui enorme tensione si scarica talvolta in un torrente di lacrime; […] un totale esser-fuori-di-sé con la coscienza più precisa di innumerevoli brividi e correnti fino alla punta dei piedi; un abisso di felicità dove ciò che è più doloroso e cupo non ha più un effetto di contrasto, ma di colore necessario, voluto, provocato, in mezzo a una tale sovrabbondanza di luce; un istinto per i rapporti ritmici che si protende su ampi spazi di forme […] Tutto avviene in modo involontario al massimo grado, ma come in un turbine di senso di libertà, di incondizionatezza, di potenza, di divinità…» (Ecce homo). Il verbo latino ex-cedere testimonia un’uscita, un oltrepassamento (excedere finibus: uscire dai confini), talvolta anche nel significato drammatico di una dipartita dalla vita (excedere corpore) o di un dissolversi dei ricordi (excedere e memoria). Nell’excessus latino risuona un movimento di distacco. Ci si inganna, però, quando ci si limita a pensare la trascendenza come ciò che concerne essenzialmente un “sopra”, uno stacco, una cesura netta rispetto all’immanenza del qui e ora. L’eccedenza esprime piuttosto un valore dinamico della trascendenza: non si tratta della condizione fissa e immota di un ente supremo, né dello statuto di una regione dell’essere separata dall’ambito del sensibile. Designa piuttosto un processo continuo: l’esistere è excedens, eccedente nel suo stesso accadere.
In italiano la parola “eccedenza” ha il vantaggio, rispetto a “eccesso”, di rimarcare un movimento attivo, invece di indicare una condizione stabilizzata. L’“eccedente”, con il timbro del participio presente, è un traboccare: un processo più che una condizione, un dinamismo più che uno stato. Prima ancora di esprimere un sentire insostenibile allude a una dimensione non riconducibile a una razionalizzazione. Eccedenza è una parola allusiva, simbolica, non un termine “esatto”. Fa segno verso un fuori, dal discorso razionale e dalla determinazione spazio-temporale, unendo l’aspetto fisico e quello spirituale. È a-duale, né solo corporeo né solo intellettuale o spirituale: si dà nella non separazione dei due ambiti – e in questo è esperienza dell’umano nella sua totalità. Compito dell’esercizio filosofico è quello di aprire la possibilità di accogliere e reggere l’esistenza, al di là di ogni sua riduzione a qualsiasi forma di sapere conchiuso, dando spazio a ciò che supera i segni in cui si dà quella stessa pratica. Istituisce cioè un rapporto con un non sapere e un rapporto con l’esistere di cui ciascun essere umano è singolarità irriducibile. L’esistenza non può essere “compresa”: piuttosto, si può comprendere che si è compresi da essa, che vi si è inscritti. In questo strano “non sapere”, o “non sapere di sapere”, può affiorare infine il sentire di una propria nascita continua, che non ignora la nostra condizione determinata e tuttavia la eccede, la deborda, oltre il nostro io, oltre la nostra contingenza.
Marcello Ghilardi Filosofo, Docente di Estetica e di Philosophy of Interculturality all’Università di Padova
