Idee
«Siamo arrivati alla sua macchina, arriveremo anche a lui». L’ornamento della Cadillac rubato come gesto di minaccia. Due settimane dopo, l’assassinio per mano di un fanatico israeliano di estrema destra. La Cadillac era dell’allora primo ministro israeliano Yitzhak Rabin che proprio in quegli anni, tra il 1993 e il 1995 firmò gli Accordi di pace di Oslo con la Palestina. Accordi che non piacquero a tutti, da entrambe le parti, soprattutto a uno, a Yigal Amir che il 4 novembre di 30 anni fa, durante una manifestazione in piazza dei Re di Israele di Tel Aviv, nascosto tra la folla, colpì alla schiena con due colpi di pistola Rabin, uccidendolo.
A pronunciare la frase in apertura fu un giovane facinoroso Itamar Ben-Gvir, oggi ministro della sicurezza nazionale nel governo israeliano di Netanyahu. Sarebbe frettoloso e limitante racchiudere il presente di Israele con questa immagine, ma tanto della storia attuale passa da quell’attentato, da quella morte – come sintetizza qualcuno – carica di un odio che oggi è al potere. Ma Israele è anche nell’immagine delle centomila persone che la sera del 1° novembre si sono riunite nel centro di Tel Aviv, non lontano dal luogo in cui Rabin fu ucciso, per ricordarlo: «Non è stato dimenticato, né in Israele né nel mondo: le recenti manifestazioni dimostrano quanto la sua figura resti viva – sostiene Gianni Parenzo, presidente della Comunità ebraica di Padova – Credo che rimanga centrale, ancora oggi, il messaggio di Yitzhak Rabin. Un messaggio che non apparteneva solo a lui, ma a un’intera società che in quegli anni, con Shimon Peres (al tempo ministro degli Esteri) e molti altri, aveva condiviso la speranza di un futuro di pace. Rabin non era isolato, e gli accordi restano tuttora un punto di riferimento fondamentale per immaginare una soluzione del conflitto».
La foto che ritrae Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, mentre si stringono la mano nel cortile della Casa Bianca, scattata il 13 settembre del 1993, è forse una delle più famose. Loro, insieme allo stesso Peres, ottennero il Premio Nobel per la pace nel 1994. «Il contesto era diverso, ma già allora esistevano i germi di ciò che sarebbe accaduto: mentre si portavano avanti i negoziati, alla fine degli anni Ottanta era nato Hamas e gli attentati in Israele avevano profondamente scosso la società. Sembrava quasi che parlare di pace generasse insicurezza. È un elemento che non va dimenticato se si vuole tracciare un parallelo con la situazione attuale. Anche oggi Hamas ha colpito in un momento in cui gli Accordi di Abramo e il possibile ingresso dell’Arabia Saudita sembravano aprire prospettive simili a quelle sognate da Rabin. Dopo la sua morte, Peres ha continuato il cammino di pace, e successivamente anche Ehud Barak ha tentato nuove proposte di dialogo, purtroppo non accolte. L’idea di costruire un’intesa tra i due popoli, però, non si è mai spenta».
Anche se se ne parla più per il tema parcheggi e posto auto, pure Padova ha la sua Piazza Yitzhak Rabin, “piazza della pace” c’è scritto nel cartello che indica l’area vicino a Prato della Valle: «Significa rinnovare un impegno morale e civile verso la pace, rifacendosi al messaggio che Rabin ha lasciato: quello di credere nella possibilità della convivenza e del dialogo tra i popoli. La conciliazione tra israeliani e palestinesi è una speranza che condividiamo tutti, nonostante la drammaticità del momento. Tutti, Europa compresa, devono impegnarsi affinché questa prospettiva diventi realtà».